Secondo l'Istat l'indice del clima di fiducia dei consumatori è tornato a diminuire, sia rispetto alla componente economica sia rispetto al futuro. “Questo accade perché consumatori e imprese vivono nel paese reale, e capiscono che siamo in una condizione di estrema difficoltà, con una ripresa molto incerta, fragile e dettata più da indicatori macroeconomici che non dalla risoluzione di alcuni problemi strutturali del nostro paese”. A dirlo è Tania Scacchetti, della segreteria nazionale della Cgil ai microfoni di RadioArticolo1.

La ripresa, infatti, secondo Scacchetti, “non si sta accompagnando adeguatamente a una ripresa di lavoro buono e di qualità”. E con queste precondizioni, “la propaganda utilizzata dal governo non aiuta ad affrontare la situazione”. In realtà, afferma ancora la sindacalista, “il tunnel è ancora molto lungo”, dato che “andrebbero soprattutto superate le fortissime polarizzazioni che ci sono, in modo particolare nel sistema produttivo”. “C'è 20% delle imprese che ha scommesso sull'innovazione e sulla ricerca e quindi anche sulla valorizzazione delle persone che lavorano”, quindi bisognerebbe “accompagnare il resto del sistema produttivo, più orientato a una domanda interna ancora stagnante o debole, verso la crescita e lo sviluppo”.

Eppure il ministro del lavoro Poletti e l'ex presidente del consiglio Renzi hanno recentemente sostenuto di aver ottenuto un grande successo sul fronte del lavoro, vista la drastica riduzione di ore di cassa integrazione. Secondo Scacchetti, però, “da un lato è giusto dire che c'è un pezzo di cassa integrazione che si è ridotta in funzione di una capacità del sistema produttivo di ripartire, e questo è un bene. Ma un pezzo di quella riduzione è figlio delle modifiche introdotte al sistema degli ammortizzatori sociali iniziate con la riforma Fornero e proseguite con il Jobs Act. Cioè, siamo di fronte a un sistema di ammortizzatori che, per durata e per perimetro, si è molto ristretto negli ultimi anni”. Quindi c'è “un calo dovuto alla maggiore difficoltà di accedere agli strumenti di ammortizzazione, combinato con la riduzione del costo dei licenziamenti”.

Il Jobs Act, nasceva invece come una legge che avrebbe garantito il posto a tempo indeterminato ai giovani e l'occupazione giovanile. Per la Cgil, al contrario, “è evidente il fallimento di quella riforma”, perché “se c'è qualcuno che non è stato premiato sono proprio le giovani generazioni”. Per la Scacchetti, infatti, “la revisione delle norme sui licenziamenti si è dimostrata nient'altro che un grande regalo al sistema delle imprese, con un impoverimento molto forte delle tutele dei lavoratori”. Quella manovra, poi, è stata accompagnata “dagli sgravi contributivi delle leggi di stabilità, in modo particolare quella del 2015, che ha premiato principalmente gli over 50 e, di fatto, ha lasciato fuori i giovani”.

In entrambi i casi, però, ci troviamo di fronte a “una bolla di sapone”, perché finiti gli sgravi, “sono finite anche le attivazioni a tempo indeterminato”. Per il segretario confederale, la fine degli sgravi che non erano vincolati a nulla, oggi potrebbe anche “determinare anche un'espulsione di parte di quei lavoratori e per le aziende il costo dell'espulsione sarebbe minore del beneficio contributivo di cui hanno goduto in questi in questi anni”. Per questo, conclude Scaccchetti, “il Jobs Act ha fallito. Le nuove attivazioni a tempo indeterminato sono meno di quelle del 2014, quasi 8 lavoratori su 10 che hanno la fortuna di entrare al mercato del lavoro entrano con forme particolarmente precarie. E la condizione generale del mercato del lavoro non fa sorridere. È vero, abbiamo recuperato in termini numerici posti di lavoro, ma si stratta di un lavoro più povero, più fragile, e soprattutto con molte meno ore lavorate rispetto a quelle del 2008”.