Pubblichiamo la Nota di Giuseppe Amari al volume, da lui curato, «I Consigli di Gestione e la democrazia industriale e sociale in Italia. Storia e prospettive», Ediesse, Roma 2014. Il volume è stato presentato a Roma, presso la Cgil nazionale, il 10 ottobre.

Qui i podcast dei relatori, pubblicati sul sito di RadioArticolo1:
Franco Martini (segretario confederale Cgil)
Giuliano Amato (giudice della Corte Costituzionale)
Roberto Schiattarella (professore di Economia Politica)
Fulvio Fammoni (presidente ssociazione Bruno Trentin)
Adolfo Pepe (direttore Fondazione Di Vittorio)


La nota del curatore
Il volume ripubblica gli atti di un importante convegno sui Consigli di Gestione (in seguito CdG), tenuto a Milano nel febbraio del 1946 e presieduto da Giovanni Demaria, rettore dell’Università Bocconi di Milano e presidente della Commissione economica del Ministero per la Costituente, diretto da Pietro Nenni. Gli Atti furono pubblicati a suo tempo dal Centro Economico per la Ricostruzione (CER), presieduto da Antonio Pesenti, autorevole dirigente comunista, economista e docente universitario, ministro nei governi di Ivanoe Bonomi, oltre che presidente della Commissione per lo studio dei problemi del lavoro del Ministero per la Costituente. In un Paese solitamente immemore delle proprie luci, anche di quelle più vivide, il volume intende rendere un meritato riconoscimento al coraggio e allo sforzo generoso di coloro che si impegnarono prima nei CLNA (Comitati di Liberazione Nazionale Aziendali) e poi nei CdG, per la salvezza e la conduzione dell’apparato produttivo italiano.

Con le parole di Rodolfo Morandi, uno dei loro più convinti sostenitori:

«I Consigli di Gestione hanno una storia piena di insegnamenti e costituiscono senza dubbio l’esperienza più originale e più avanzata che sia stata messa in atto dalle energie spontanee della ricostruzione. Sorti per impulso di quelle forze che avevano animato nelle fabbriche la resistenza al nazifascismo, essi assicurarono la vita della nostra industria nella fase più delicata di trapasso, quando le colpe o la pavidità di tanti dirigenti e la somma della prudenza del capitale la lasciarono abbandonata a sé priva quasi completamente di risorse. Nella carenza di autorità furono i Consigli di Gestione, costituiti dagli operai e dai tecnici, a salvaguardare gli impianti e a custodire i magazzini. Furono nel Nord i Consigli di Gestione a garantire l’occupazione e il salario delle maestranze per settimane e settimane, per mesi interi dalla Liberazione: meriti questi che si sono troppo facilmente dimenticati dai molti che rientrano dopo prolungata assenza nel possesso e alla direzione delle aziende».

Ma il volume vuole essere anche l’occasione per una riflessione più generale sul periodo in cui nacque e si concluse quell’esperienza esaltante di democrazia industriale ed economica, prima valorizzata, poi abbandonata e mortificata, non difesa a sufficienza dalle sinistre e dallo stesso sindacato.

Una vicenda da cui trarre anche utili insegnamenti per la difficile, complessa, ma inevitabile problematica della democrazia industriale. Rimasta in Italia ad uno stadio iniziale, e che investe temi non solo di relazioni sindacali, di economia aziendale e di organizzazione del lavoro, ma anche di economia generale, di psicologia e sociologia del lavoro, di diritto dell’economia e in particolare di diritto societario. Investe ancora temi di filosofia politica e del diritto: se cioè, in presenza oppure in assenza di accordi tra le parti sia giusto intervenire per legge, a sostegno oppure a sostituzione, in una materia così delicata.

La democrazia industriale ed economica è comunque parte integrante del più complessivo assetto istituzionale di un Paese e dello stesso disegno organico di democrazia delineato dalla nostra Costituzione, e non solo con gli articoli 39 e 46; un tema piuttosto trascurato dal dibattito politico e sindacale italiano, e ancor di più da concreti impegni realizzatori, ma che di recente sta ricevendo maggiore attenzione e consapevolezza.

Il volume si apre con una puntuale introduzione di Stefano Musso tesa a contestualizzare la vicenda e seguono poi gli Atti del Convegno, con annessi i disegni di legge elaborati, allora, dai partiti antifascisti per il riconoscimento giuridico dei CdG.

Francesco Vella, nel suo impegnato contributo, anche alla luce di una sintetica ricostruzione del quadro normativo e del dibattito scientifico sui nuovi paradigmi di gestione, cerca di trarre dall’esperienza storica dei CdG indicazioni e suggerimenti per un possibile percorso di partecipazione dei lavoratori al governo dell’impresa. La postfazione del curatore ripercorre temi e prospettive della democrazia industriale alla luce delle esperienze precedenti e successive a quella dei CdG. Vicende ricordate insieme alle correlate e più generali dinamiche sindacali, sociali e politiche, in particolare delle forze di sinistra e progressiste.

Una riflessione, quella sulla democrazia industriale, che è anche un’utile chiave di lettura per analizzare asimmetrie e arretratezze del sindacato in Italia, rispetto ad altri Paesi europei. Solitamente, il termine viene adoperato con riferimento a realtà aziendali in cui il lavoro dipendente (di ogni ordine e grado), distinto dal capitale, opera in un sistema gerarchico e a retribuzione fissa, a prescindere dalla forma giuridica aziendale sia essa privata, pubblica o cooperativa. A cui possono accompagnarsi o meno forme di partecipazione al capitale e/o di remunerazione collegate parzialmente agli utili di gestione.

Mentre per democrazia economica può intendersi il complesso di norme, leggi, istituzioni che regolano, controllano e rendono più trasparenti le condizioni generali dell’economia e del mercato. Ma i confini non sono ovviamente netti.

Democrazia industriale che va comunque considerata come parte integrante e necessaria della più vasta democrazia economica, a sua volta condizione indispensabile per la democrazia tout court; democrazie solidali, non meno delle libertà. Democrazia industriale, che è stata esercitata, e si può esercitare, in una pluralità di modi all’interno del momento produttivo considerato inscindibile da quello distributivo. Inscindibilità da cui nasce la rilevante funzione del sindacato ed il suo ruolo di soggetto economico e politico, ben al di là della sola attività di «resistenza». Distinte dalle prime, le forme di tipo autogestionario e cooperativo dove il lavoro è anche gestore e/o proprietario unico o prevalente del capitale, assumendo in pieno il rischio di impresa; democratiche per assunto (almeno a livello teorico). Esperienze che rientrano piuttosto nel campo della socializzazione dell’economia. E sono pensabili e si riscontrano forme intermedie, in una visione pluralistica della «società economica nella quale viviamo» (J.M. Keynes). Società economica di cui, secondo Keynes, «i difetti più evidenti sono l’incapacità a provvedere un’occupazione piena e la distribuzione arbitraria e iniqua delle ricchezze e dei redditi». Difetti che i CdG, nel contesto pur eccezionale del secondo dopoguerra e finché poterono operare, riuscirono a limitare almeno in parte. Difetti che, nella situazione odierna, hanno assunto livelli inusitati e civilmente inaccettabili.

Un politico di grande sensibilità democratica come Riccardo Lombardi, già a metà degli anni Settanta, segnalava come la condizione degli inoccupati fosse ancor più drammatica dei disoccupati che, seppure in modo mortificante, erano in grado di assicurarsi una retribuzione. Tanto più che investiva fasce crescenti di intellettuali e che oggi coincidono con la maggior parte dei giovani. Vedeva «accumulare un potenziale eversivo che minaccia, se non gli si dà uno sbocco, le stesse istituzioni». Così che quell’esperienza di responsabile concorso solidale, che affrontò anche i problemi della riconversione con la redistribuzione del lavoro, è ancor oggi, mutando quel che c’è da mutare, fonte di validi insegnamenti. Sono tematiche, quelle della democrazia industriale ed economica, che continuano a suscitare interesse anche in campo accademico.

Ma se le democrazie, come le libertà, sono solidali, le vicende ricordate e i connessi dibattiti sono parte significativa della doverosa riflessione generale su alcune nostre singolarità ed arretratezze economiche e politiche e sullo stesso costume democratico. A cominciare dall’assenza nella storia italiana di una limpida alternativa di governo tra democratici progressisti e conservatori, conosciuta da altri Paesi. Una storia, purtroppo costellata da violenze, attentati sanguinari e criminosi alla democrazia e dei tanti «misteri» ancora non chiariti. Un Paese che non ha avuto mai un governo di sinistra, come già rilevava negli anni Novanta Norberto Bobbio, e come possiamo ancora constatare. Né quella «rivoluzione democratica», promessa dalla Costituzione, ma lasciata al consapevole impegno dei cittadini, di cui parlò Piero Calamandrei.

La consapevolezza delle accennate interrelazioni tra le democrazie; le difficoltà del quadro sociale e politico; le negative esperienze del passato e i ritardi accumulati, ricordati anche da Musso; la maggiore complessità della situazione economica e delle gestioni aziendali, illustrate da Vella, inducono non certo alla paralisi, ma ad evitare soluzioni semplicistiche e facili entusiasmi, a cui seguirebbero presto frustranti delusioni.

In particolare, va ovviamente sottolineata la stretta interdipendenza tra le forme di democrazia industriale e quelle sindacali, essendo impensabile e pericoloso il concretamento delle prime senza la presenza operante, ad esempio, delle rappresentanze sindacali unitarie (RSU), da potenziare ed estendere dovunque. Soluzioni che dovrebbero essere dunque concepite all’interno di una strategia più generale indirizzata alla ridemocratizzazione e ad una riconquistata socialità nel Paese, invertendo un corso che dura ormai da decenni. E in tale strategia assume decisiva importanza il superamento dell’attuale perversa cultura aziendale. Occorre riprendere i percorsi più volte interrotti e rivisitare le considerazioni di Morandi e Pesenti sui CdG; quelle di Bruno Trentin, Pierre Carniti e Giorgio Benvenuto a proposito dei consigli di fabbrica degli anni Settanta; le riflessioni sottese al Piano di impresa della CGIL all’inizio degli anni Ottanta e non ultima la splendida pagina di Filippo Turati sui consigli degli anni Venti, ricordate tutte nella postfazione.

Soluzioni da ricercare meglio con il concorso multidisciplinare e con il maggior consenso delle parti, anche alla luce delle esperienze estere alcune delle quali durano ormai da quasi un secolo. Significativa, ad esempio, la testimonianza di uno studioso svedese, titolata Dramma storico in quattro atti; esperienza che comincia dagli anni Venti e che ha conosciuto arricchimenti ed involuzioni strettamente interrelati, nel tempo, con le vicende sociali, politiche e culturali, nazionali ed internazionali. Una conferma che «la più solida democrazia nasce dalla molteplicità delle democrazie» (Calogero); comprese anche e sempre di più quelle di altri Paesi.

Una storia istruttiva anche per noi, dopo le interruzioni, i mancati sviluppi e i tanti progetti rimasti sulla carta del nostro «dramma», e per gli importanti capitoli ancora da scrivere. Completano il volume un’Appendice in cui vengono pubblicati alcuni documenti significativi e un’ampia bibliografia generale e ragionata a cura di Maria Paola Del Rossi.

Ringrazio gli amici, Carlo Ghezzi che, allora presidente della Fondazione Giuseppe Di Vittorio, approvò subito la proposta del volume, Iginio Ariemma per aver sostenuto e seguito con simpatia i suoi sviluppi, Stefano Musso, Francesco Vella e Maria Paola Del Rossi per il loro importante e generoso contributo.