Lo storico del Secolo breve Eric Hobsbawm torna su un tema caro alla sua ricerca: quello delle rivolte e delle rivoluzioni (Rivoluzione industriale e rivolta nelle campagne, I ribelli). A interrogarlo sul posto che esse occupano nella sua opera, ma soprattutto sulle nuove forme che esse assumono nell’attuale contesto di crisi, è la rivista culturale francese La vie des idées (l'intervista integrale).

Eric Hobsbawm, ormai novantaduenne, non si sottrae e parla del perché uomini e donne, contadini, operai e impiegati abbiano deciso di scendere in piazza in passato, ma anche del perché lo facciano tuttora.

“All’inizio della sua carriera – chiedono gli intervistatori – lei è stato definito lo storico della classe operaia britannica. Non le interessavano, però, i sindacati o i partiti politici ma la struttura stessa di quella classe e i gruppi minoritari. Era un modo di studiare ‘i margini’ della storia della classe operaia?

Sì e no – risponde Hobsbawm –. Avete ragione nel dire che non ho una grande simpatia per le forme tradizionali della storiografia operaia, che è una storia delle organizzazioni. (...) Sono ben più interessato al modo in cui i lavoratori si auto-organizzano in seno ai sindacati e al loro bisogno di un’organizzazione interna. (...) Credo che il mio contributo alla storia del lavoro sia stato quello di descrivere questi fenomeni e come essi si siano svolti effettivamente alla base della scala sociale, e non tanto quello di contribuire a una nuova storia di date, di grandi uomini o di battaglie”.

Ripercorrendo il suo lavoro di storico, Hobsbawm difende alcune sue letture: intanto la “scelta razionale” che si nasconde dietro una protesta. “Gli attori agiscono con una propria coerenza logica” e per chi studia la storia è importante scoprirla. Così quando gli intervistatori gli chiedono se le forme di rivolta moderne – dall’occupazione delle terre, al sequestro dei dirigenti di una fabbrica – siano un modo per reagire alle disuguaglianze prodotte dalla globalizzazione, lui risponde che la tradizione dell’azione politica risulta dalla trasformazione della politica popolare moderna.

Paesi diversi hanno forme di mobilitazione diverse. In Francia si scende in piazza, la Gran Bretagna aveva elaborato la tecnica di rivolta passata alla storia come luddismo che, all’inizio del XIX secolo, lottava contro l’introduzione delle macchine. E poi tempi diversi, diverse forme di azione. Durante la Grande Depressione degli anni ’30, un po’ ovunque, era molto comune l’occupazione dei luoghi di lavoro da parte di operai e impiegati.

“Al giorno d’oggi – conclude Hobsbawm – i sequestri dei manager sono un’altra forma d’azione. Non credo abbia alcun senso classificarla come ‘primitiva’ o ‘non primitiva’. Si tratta piuttosto di ricercare nuove modalità d’azione che siano efficaci. Devo aggiungere che queste nuove forme d’azione sono ampiamente determinate dalle circostanze. E noi oggi abbiamo delle nuove circostanze che non esistevano in passato perché sappiamo di vivere all’interno di una ‘società mediatica’. Riuscire a dare il massimo di pubblicità alla propria azione, nel breve termine, e trovare un nuovo modo per farlo è una maniera perfettamente razionale di manifestare il proprio punto di vista. In particolare – prosegue lo storico inglese – il fatto di prendere un dirigente in ostaggio non ha alcun effetto reale sulla ripartizione del potere, ma produce un effetto pubblicitario enorme, attirando l’attenzione dell’opinione pubblica, sia essa buona o cattiva pubblicità”.