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Con l’emendamento che reintroduce i voucher, presentato nella manovra di bilancio approvata alla Camera col voto di fiducia, “sono state calpestate le regole della democrazia”. Così Franco Martini, segretario confederale della Cgil, intervistato da Radioarticolo1 nel corso del programma Italia Parla.
“Lo spettacolo offerto da coloro che governano il nostro Paese non ha precedenti nella vita costituzionale e parlamentare dei principali paesi europei”, ha spiegato Martini: “Un governo che in prima battuta, per scansare un referendum il cui esito avrebbe potuto creargli seri problemi dopo quello del 4 di dicembre, decreta l’abolizione delle norme sulle quali legittimamente e democraticamente oltre un milione di cittadini avevano chiesto di potersi pronunciare, e poi, dopo poco più di venti giorni, fa rientrare da un pertugio sostanzialmente la stessa materia, in alcuni casi anche peggiorata, in pieno spregio delle regole”.
Un’operazione - Martini ne è convinto - “fatta essenzialmente per non far votare i cittadini e quindi per negare un diritto, e poi per riproporre scelte di politica del lavoro e di politica economica in generale che niente o poco hanno a che fare con le ricette di cui avrebbe bisogno questo Paese. Quindi uno schiaffo alla democrazia, un inganno al Paese”. La risposta della Cgil - prosegue il dirigente sindacale - “deve andare molto oltre i nostri confini, deve coinvolgere tutte le menti libere di questo Paese che hanno a cuore la difesa della Costituzione”.
Un’operazione “scandalosa sia nel metodo, sia nel merito”. “Una parte dei contenuti di questo decreto - sottolinea Martini, quella che riguarda la necessità di normare il lavoro occasionale per le famiglie, incrocia le proposte che anche la Cgil aveva avanzato. I referendum non erano uno strumento per abrogare delle norme e lasciare insoluti dei problemi: tant'è che la Carta dei diritti della Cgil contiene delle risposte, delle soluzioni al problema che avrebbe aperto il referendum, e che poi ha aperto il decreto abrogativo dei voucher (varato dal governo Gentiloni, ndr)”. Ma “in un paese civile, dove il confronto tra gli attori sociali, politici e istituzionali rappresenta la linfa vitale della democrazia, il governo avrebbe convocato le parti sociali direttamente interessate e si sarebbe confrontato sulle proposte, e probabilmente avremmo anche potuto trovare una sintesi”.
Quanto al merito, per l’esponente sindacale “l'operazione grida vendetta. Ci hanno accusato di aver prodotto un vuoto normativo. Abbiamo risposto che le imprese disponevano di tante soluzioni, di tante tipologie contrattuali. L'obiezione che ci veniva mossa è che i contratti ai quali facciamo riferimento - uno per tutti: il contratto week end per studenti - hanno una farraginosità eccessiva, coinvolgono troppa burocrazia e portano via troppo tempo. Bene - prosegue Martini -, alla fine viene proposto uno strumento (i nuovi voucher: con l’emendamento del governo alla manovra, ndr) ancora più farraginoso della norma precedente. Allora il tema non è più la semplificazione. Se andiamo fino in fondo, capiamo che la questione vera è consentire un lavoro pagato meno, creando quindi uno strumento che costa meno”.
“Di fronte a un dato come quello della disoccupazione italiana, la risposta non può essere quella di somministrare al sistema economico e produttivo un po' di doping, quale può essere la detassazione o il voucher stesso”. Per Martini, al contrario, “occorrono interventi e politiche strutturali. La lotta alla disoccupazione comporta una modifica di strategia della politica economica industriale. Un Paese che si rassegna a ripetere che ‘poco è meglio di niente’ è un Paese che rinuncia alla prospettiva di progresso consolidato”.
Prosegue Martini: “Il contenuto dell’emendamento è perfettamente coerente con la detassazione prevista nei casi di accordo che prevedono la partecipazione delle lavoratrici e dei lavoratori nelle piccole imprese, misura che prevede anche la decontribuzione ai fini previdenziali. Cioè un intervento per produrre risultati di breve termine e senza avere l'ambizione di costruire nella carriera lavorativa delle persone le risposte ai principali problemi della tutela nella fase del lavoro e del dopolavoro, a partire da quella previdenziale. Sono tutte misure che non solo producono una guerra tra poveri, ma allargano gli squilibri sociali nei territori.
Adesso, con la manifestazione del 17 giugno a Roma e dopo, la Cgil “ha due obiettivi. Uno - spiega Martini - di brevissimo termine: produrre la più ampia pressione politica nel Paese affinché, dinanzi a coloro che hanno la responsabilità di custodire le regole di questa democrazia, il presidente della Repubblica e i presidenti delle corti che si sono già pronunciate, si possa rivendicare una tutela delle regole democratiche: l'articolo 75 della Costituzione è stato calpestato e qualcuno deve dirci qualcosa. Il secondo obiettivo riguarda il percorso che abbiamo davanti a noi, e che si chiama Carta dei diritti: i referendum erano uno strumento in funzione di abbiamo questa proposta depositata in Parlamento, incardinata ai lavori della commissione Lavoro della Camera. Quello è lo scenario della ricostruzione del diritto del lavoro in questo Paese”.
Ma le notizie che arrivano sulle sorti del quadro politico nazionale “sono inquietanti, perché di tutto avrebbe bisogno questo Paese fuorché di fermarsi”. In caso di scioglimento anticipato delle Camere e di elezioni in autunno, conclude Martini, “è ovvio che la Cgil starà in campo per rappresentare diritti, lavoro, sviluppo. Ci confronteremo con chi a parole, nella politica e tra le imprese, parla di un cambiamento che poi, nei fatti, non arriva mai”.