... Questo protagonismo, però, finora non ha saputo o voluto sedimentarsi né collegarsi stabilmente a istanze o soggetti collettivi. Si può sperare che questo passaggio, paradossalmente, possa essere più agevole in una fase storica come quella attuale che vede in profonda crisi un’idea complessiva di sviluppo e dunque di futuro, questione globale che riguarda proprio e soprattutto i giovani? Di questi temi abbiamo discusso con Massimo Livi Bacci, professore di demografia all’Università di Firenze, editorialista di Repubblica e con un passato da senatore nelle file del Pd. “Sono d’accordo con lei. Le manifestazioni degli ultimi mesi – argomenta lo studioso –, seppure hanno avuto come detonatore l’opposizione alla riforma dell’università proposta dal centrodestra, sono sintomo di un disagio assai profondo e diffuso. Hanno perciò caratteristiche assai diverse dalle proteste dei decenni scorsi. Credo che le ragioni siano più d’una.

Il Mese Quali sono le principali?

Livi Bacci Le nuove generazioni risentono delle conseguenze di un ventennio di bassa crescita, culminato nella crisi degli ultimi tre anni. Hanno netta la sensazione di contare di meno e di non essere i protagonisti – effettivi o potenziali – del cambiamento. E perciò nell’attuale protesta confluiscono motivazioni non episodiche o congiunturali – come penso sia stato in passato – ma dipendenti da uno scontento profondo. Gli stessi slogan che hanno accompagnato la riforma sono percepiti come superficiali e fasulli: la valorizzazione del merito, per esempio, sbandierata a ogni passo, contrasta clamorosamente con il taglio delle risorse. Come può valorizzarsi il merito quando si lesina sul diritto allo studio e quando non ci sono risorse per pagare le borse di studio della metà degli studenti che ne hanno diritto?

Il Mese Una fetta abbondante di chi protesta è rappresentata da benestanti ma poveri. Persone che hanno alle spalle le rendite reali e potenziali della posizione dei loro genitori, ma poco reddito scaturito dal lavoro. Non è questo, inevitabilmente, un fattore di “privatizzazione” del rapporto fra giovani e società? Non rende più difficile, questo particolare status, la loro relazione con sindacati soprattutto e anche partiti?

Livi Bacci Una particolarità negativa del nostro paese è l’entrata tardiva nel mondo del lavoro; avviene così che le risorse a disposizione dei giovani provengano dai trasferimenti familiari in misura assai superiore di quanto non avvenga altrove nel mondo sviluppato. Il risultato è che i giovani italiani godono – mediamente, s’intende – di standard di vita non dissimili da quelli di altri giovani europei e fruiscono di stili di vita di buon livello. Tuttavia questa condizione relativamente favorevole non dipende dal loro autonomo impegno, ma dalle buone relazioni familiari. Paradossalmente, in questa fase storica, un sindacato che rappresentasse le istanze giovanili presso i loro genitori avrebbe un grande successo.
Il centro-destra coltiva, anche esplicitamente, l’idea che il ruolo della famiglia come dispensatrice di welfare debba essere rafforzato, accrescendone il ruolo protettivo in presenza di una condizione giovanile vulnerabile. Ma attenzione a due conseguenze negative di grande portata. La prima: la persistenza e l’aggravamento delle disuguaglianze. Tutto va bene per i giovani che hanno alle spalle famiglie con buone risorse economiche, capaci di affetto, apertura culturale, con buona salute, ben coese. Ma chi ha alle spalle famiglie colpite dalla povertà, dal disagio, da disgrazie familiari, da arretratezza culturale, incapaci di solidi vincoli di affetto?

Il Mese Insomma, l’enfasi sulla famiglia in questo caso può produrre un risultato regressivo…

Livi Bacci Più si accentua il ruolo protettivo della famiglia e più si consolidano le disuguaglianze nelle “posizioni di partenza” delle giovani generazioni. La seconda conseguenza infausta sta nel rafforzamento della dipendenza dalla famiglia e nel rallentamento del processo di transizione all’autonomia. Infausta per i giovani e per lo sviluppo. E allora la domanda posta ha, purtroppo, una risposta affermativa: la dipendenza dalla famiglia oltre i limiti del ragionevole allenta la relazione con i sindacati, con i partiti, con altre istituzioni di mediazione tra individui e società.

Il Mese In un bell’articolo di Barbara Palombelli apparso prima di Natale su Repubblica si puntava il dito contro un inganno che non tutti abbiamo notato: tra chi protesta, oggi, non ci sono solo giovani. Si fanno passare nel calderone del disagio giovanile persone che, ultratrentenni, chiedono “solo” un po’ più di sicurezza per il proprio futuro…

Livi Bacci Non ho letto l’articolo, ma questa osservazione mi torna. È sintomatico dell’attuale fase storica quella di avere esteso il concetto di “giovane” a generazioni che, francamente, sono assai più vicine alla “mezza età” che alla fine dell’adolescenza. E quasi per lenire gli affanni prodotti da una crescita che non c’è, dalle scarse opportunità, da una instabilità lavorativa prolungata, si concede generosamente la qualifica di “giovane” a persone attorno ai quarant’anni. Col sottinteso “siccome sei giovane, aspetta pure la tua occasione, che prima o poi verrà”…

Il Mese Quando è che si diventa adulti, oggi?

Livi Bacci In passato la navigazione verso la piena autonomia era chiaramente tracciata, naturalmente in linea di principio, perché poi i casi della vita imbrogliano i fili. Formazione e studio (assai meno di oggi), lavoro, uscita dalla protezione dei genitori, matrimonio, figli, in un percorso che si chiudeva in poco tempo. Oggi le linee si confondono, le tappe si scavalcano in avanti e all’indietro e l’autonomia si raggiunge molto, ma molto più tardi che in passato. Si può anche abbassare la maggiore età – magari, come qualcuno propone, a 16 anni. Ma la vera maggiore età si consegue quando si è pienamente autonomi, anche (o soprattutto?) finanziariamente. Ed è a questo punto che avviene il vero passaggio generazionale. Questo passaggio oggi è molto diluito nel tempo: non ha più la nettezza e la rapidità che caratterizzò un passato anche non troppo remoto.

Il Mese Nel suo Avanti giovani, alla riscossa lei parla con preoccupazione del crescente astensionismo elettorale delle giovani generazioni. Perché secondo lei questo avviene e come si può ricreare un rapporto reciprocamente positivo tra giovani e organizzazioni collettive?

Livi Bacci Non credo in soluzioni puramente formali, come potrebbe essere, per esempio, l’abbassamento della soglia d’età per il diritto di voto, le “quote giovani” o altri marchingegni del genere. Il vero problema è quello di un empowerment effettivo dei giovani: si conta di più, anche politicamente, se si hanno le capacità per farlo, se si consegue maturità culturale, indipendenza d’azione. Inserire artificiosamente più giovani nelle liste elettorali, nei consigli o nei consessi se poi essi possono essere facilmente zittiti perché hanno scarsi strumenti per farsi sentire serve a poco. Anzi può peggiorare la situazione dando un alibi a chi vuol conservare lo status quo.

Il Mese Quale ruolo può svolgere in queste dinamiche il sindacato?

Livi Bacci Credo che debba tornare ad essere un interprete credibile delle esigenze dei giovani. È purtroppo assai diffusa la non infondata idea che il sindacato non riesca a rappresentare la voce di chi è escluso, oppure è precariamente entrato nel mercato del lavoro. E che se posto di fronte alla necessità di contemperare – a fronte di risorse fisse o decrescenti – i legittimi interessi delle varie generazioni il sindacato sia più sensibile alle istanze delle generazioni mature e anziane, che pesano molto numericamente e politicamente, rispetto a quelle dei più giovani. Questa opinione è forse in parte ingiusta, ma è ampiamente diffusa e con questa occorre fare i conti.

Il Mese Nel libro che abbiamo prima citato lei provava a delineare interventi sul sistema educativo, sul mercato del lavoro e sulla previdenza per fermare quella “sindrome del ritardo” su tutto (studi, famiglia, lavoro), che attanaglia le nuove generazioni. Ce li può indicare in sintesi?

Livi Bacci Intanto una premessa. Quando una società non si sviluppa le prospettive sono poco entusiasmanti e si tende a conservare le posizioni acquisite e a rischiare poco. Giovani, genitori e nonni dovrebbero darsi un obiettivo: per i primi quello di conquistare assai più velocemente la piena autonomia; per i secondi quello di sostenerli in questo processo. Ma, per genitori e nonni, questo non vuol dire solo trasferimenti monetari, ma attrezzare i giovani a fare da sé, a diventare autonomi e indipendenti. Cito un aspetto: gli italiani, in Europa, sono quelli più chiusi rispetto all’esterno: conoscono meno le lingue, viaggiano meno, hanno meno contatti con l’estero per lavoro, amicizia, interessi… Ci sono molti meno studenti italiani che spagnoli nei programmi Erasmus.

Il Mese Questo le famiglie, ma la politica cosa dovrebbe fare?

Livi Bacci Ho spesso ripetuto – è un paradosso, ma neanche poi tanto – che inizierei con l’abolizione del ministero per le Politiche giovanili. Infatti, le politiche per i giovani sono soprattutto politiche per il paese e per la crescita di tutta la società. Un ministero a loro dedicato nel migliore dei casi rappresenta un annuncio o un’intenzione e, nel peggiore dei casi, un mero alibi. Faccio, in estrema sintesi, una lista di cose da fare per rimettere in moto il mondo giovanile e – di conseguenza – il paese. Una lista che non è certo esauriente, ma credo indicativa. Prima di tutto occorre investire di più nella scuola pubblica secondaria; i ragazzi italiani già a quindici anni hanno forti ritardi nelle competenze e nelle capacità cognitive acquisite rispetto agli altri paesi. Questo ritardo si recupera con difficoltà in seguito e si paga con più modeste carriere retributive e maggiore vulnerabilità. Poi bisogna accelerare il ritmo di studio degli studenti universitari che oggi impiegano cinque anni in media per la laurea triennale e altri tre per la specialistica. Non c’è ragione perché uno studente “normale” (che non lavora o non ha altri impedimenti) non debba tenere un passo, appunto, “normale”. Le tasse universitarie in capo alle famiglie (che mediamente costano quanto l’abbonamento a una palestra) potrebbero essere abbonate a chi è in regola e fatte pagare con gli interessi a chi ingiustificatamente accumula ritardi. Inoltre, bisognerebbe: rafforzare il diritto allo studio oggi ridotto al lumicino; mettere soldi nel fondo per il merito che la nuova legge ha creato ma a costo zero per le pubbliche finanze; creare una sorta di progetto Erasmus universale, che permetta ai giovani di fare un’esperienza, sufficientemente lunga, in un altro paese per formazione, studio, lavoro, cultura.

Il Mese In alcuni paesi lo Stato mette a disposizione dei ragazzi un fondo per la propria crescita formativa e professionale. Cosa ne pensa?

Livi Bacci Sarebbe in effetti utile istituire un fondo per l’autonomia, in capo a ogni neonato, con finanziamento sia pubblico che privato, che entra nelle disponibilità del giovane alla maggiore età e che può essere rafforzato con prestiti garantiti dallo Stato per iniziare un’attività economica, perfezionare la formazione eccetera. Riprendo il mio elenco di proposte aggiungendo che non va favorito l’acquisto della casa – che immobilizza la mobilità e congela risorse – mentre bisogna incentivare l’affitto. Concludo con le donne: è fondamentale prendere sul serio e di petto il tema della conciliazione casa-lavoro; per una giovane donna lavorare e avere figli non deve essere una pratica eroica, ma una situazione normale.