Ancora una volta, la terza in quattro anni, Genova e la Liguria (ma l’emergenza maltempo, con il passare dei giorni, sembra sempre più riguardare l’intero Nord del paese) sono costrette a fare la conta delle vittime e dei danni causati da un’alluvione. In attesa della stima esatta delle perdite – umane e materiali – procurate dall’ennesima catastrofe annunciata, in casa sindacale non si nasconde la preoccupazione per le numerose sospensioni delle attività produttive e commerciali e per le conseguenze che inevitabilmente ricadranno sui lavoratori interessati.

La stessa preoccupazione che solo pochi giorni fa aveva indotto gli edili genovesi a presidiare la prefettura della loro città per chiedere di accelerare i tempi per l’avvio delle opere di messa in sicurezza del territorio, che rappresenta ormai da anni la grande priorità del capoluogo ligure. Le responsabilità degli enormi disagi che si stanno abbattendo in queste ore su una porzione importante d’Italia finita sotto l’acqua e il fango sono note: l’incompetenza degli amministratori locali, la voracità di taluni imprenditori senza scrupoli, l’inerzia dei responsabili della Protezione civile; per non parlare della lentezza insopportabile di una macchina della giustizia amministrativa incapace di risolvere i contenziosi avviati negli ultimi tre anni, sbloccando qualcosa come 35 milioni di euro stanziati – nella sola provincia di Genova – per la riduzione del rischio idrogeologico.

Non basta dire che il territorio della nostra penisola è fragile. Bisogna anche aggiungere che proposte in grado di fronteggiare con qualche probabilità di successo le annuali emergenze climatiche sono da tempo sul tappeto. A cominciare dalla richiesta, avanzata già nel 2011 dalla Cgil genovese all’allora ministro dell’Ambiente Clini, di svincolare dal patto di stabilità che soffoca i Comuni le risorse destinate agli interventi per risanare i suoli e mettere in sicurezza strade e scuole, ottenendo in questo modo un duplice risultato: maggiori garanzie per i cittadini e il rilancio di un settore, quello dell’edilizia, in grave crisi occupazionale.

Obiettivi sostanzialmente in linea con quelli contenuti nel Piano del lavoro della Cgil nazionale, che – attraverso interventi coordinati per la sicurezza e la manutenzione del territorio, oltre che del patrimonio artistico, storico e archeologico – mira a creare opportunità di lavoro stabile e a promuovere politiche destinate a durare nel tempo. Il tutto con il fine niente affatto recondito di dimostrare che se si lavora sulla prevenzione piuttosto che intervenire per riparare i danni, il risparmio per le comunità coinvolte da calamità naturali è assicurato. A quanti altri disastri dovremo ancora assistere prima di veder trasformate queste “semplici” idee in fatti?