Il migliore compendio del libro di Fabrizio Loreto, “Il sindacato nella città ferita” (Ediesse 2016, 380 pagine, 16 euro), sta nelle citazioni che aprono il volume. La prima è di Fernand Braudel, uno dei padri dell’École des Annales: “La città di Genova è una delle più significative dell’Italia e dell’Occidente, dovrei dire del mondo intero. Perché Genova è cittadina del mondo. Curiosa del mondo. Italiana, sì certo, ma mondiale”. L’altra è dello storico Giorgio Doria, vicesindaco di Genova negli anni settanta: “Quando si parla di storia del passato, lo sforzo che dobbiamo fare è quello di cercare di assumere delle ‘lezioni’ da questa storia per utilizzarle nel presente. Lo studio della storia non deve essere per nessuno quindi una curiosità da antiquario, ma deve essere un esame delle vicende di ieri con la sensibilità del contemporaneo, con gli occhi aperti sull’oggi”.

E sta proprio qui il merito di un libro che il titolo, e ancor più il sottotitolo, “Storia della Camera del lavoro di Genova negli anni 60 e 70”, non intendono certo circoscrivere entro un perimetro storico e un’area d’interesse riservata agli addetti ai lavori. I temi trattati, infatti, costituiscono il cuore pulsante di un periodo cruciale della nostra storia recente, con riflessi che vanno ben oltre i confini della città e quelli del ventennio 60-70. Che altro può essere, se non la premessa e il terreno di coltura delle vicende contemporanee, la narrazione di ciò che è avvenuto a Genova ai tempi delle Partecipazioni statali, della “legge truffa”, dell’Autunno caldo, della rivoluzione “globale” dei porti, del sindacato dei consigli e poi via via fino agli anni del terrorismo e delle Brigate Rosse?

Certo, il sindacato è stato uno dei protagonisti primari di questa storia. E mai come in questo caso si può essere certi che la vicenda del sindacato si intreccia e spesso coincide con quella della città e del Paese, costituendone a un tempo la fonte di informazioni e la chiave d’interpretazione, lo specchio e la cartina di tornasole. Questioni come il boom economico degli anni 60 e la successiva crisi, la deindustrializzazione del sistema produttivo e l’affermarsi della terziarizzazione, nonché l’alternarsi delle diverse stagioni politiche con i mutamenti sociali e culturali che le accompagnarono, hanno prodotto effetti importanti non solo nella vita e nell’organizzazione del sindacato, ma in quella dell’intero Paese. E l’onda lunga di questi fenomeni, va da sé, ci porta dritti alla realtà contemporanea.

Ampio spazio il libro di Fabrizio Loreto, ricercatore di storia contemporanea all’Università di Torino e grande esperto di storia sindacale, riserva a due temi che colgono da prospettive diverse l’anima più autentica della città e, al tempo stesso, la sua vocazione universale. Il primo racconta la vicenda dei mitici e controversi “camalli”, “comunità anomala di lavoratori con ambizioni pedagogiche finalizzate alla trasmissione di un mestiere duro, ma anche di valori universali e ideali politici molto forti e radicati, come l’antifascismo e l’internazionalismo; un corpo con i piedi ben piantati nel passato, legato a una tradizione epica che ne ha forgiato un’immagine mitica, e una robusta costituzione, particolarmente resistente, se non ostile, nei confronti dei cambiamenti più radicali”. Il secondo tema è l’omicidio di Guido Rossa, “uno spartiacque che pose fine per sempre alle residue incertezze ed equidistanze, poiché mostrò in modo manifesto (se mai ce ne fosse ancora bisogno) il totale disprezzo della vita espresso dai terroristi”.

Dunque, non solo un bel libro, ma un libro importante questo che l’autore ha voluto dedicare a Paolo Arvati, storico e dirigente Cgil scomparso nel 2011, nonché esponente tra i più significativi della città e del sindacato. A lui, del resto, Fabrizio Loreto deve molto in termini di rigore scientifico e di partecipazione umana alle vicende storiche. Impreziosisce il tutto un’appendice fotografica tratta dagli archivi della Camera del lavoro, testimonianza preziosa di una storia in bianco e nero, dura, esaltante, drammatica, quella del “Sindacato nella città ferita”.

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