"Nonostante gli impegni formali assunti in diverse sedi istituzionali, il ministero dei Beni e attività culturali continua a rifiutare il confronto di merito sulle cause della crisi del settore, non attivando tavoli negoziali con le parti sociali, già previsti anche da atti parlamentari e provvedimenti legislativi, sempre più indispensabili per una proficua riforma di sistema". La denuncia è di Slc Cgil, Fistel Cisl, Uilcom Uil e Fials Cisal, che stamattina hanno organizzato a Roma, presso la sede della Fnsi (corso Vittorio Emanuele, 349), una conferenza stampa sulla situazione delle fondazioni lirico sinfoniche ('Dall'emergenza al progetto dell'arte musicale'), annunciando mobilitazioni, fra i vari temi, per la validazione del contratto nazionale di lavoro di categoria, sottoscritto il 16 aprile scorso, ma ancora non entrato in vigore.

"Siamo ben lontani da un assetto stabile delle fondazioni. La politica continua a trascurare un comparto che rappresenta un'eccellenza culturale del nostro paese nel mondo – afferma Maurizio Giustini, segretario nazionale Fistel –. Stando alle statistiche, siamo al penultimo posto in Europa sotto il profilo delle sovvenzioni pubbliche ricevute, mentre anche il quadro occupazionale, tutto formato da materia prima pregiata di alte professionalità, si sta aggravando ulteriormente". Ultimo caso, in ordine di tempo, i 53 esuberi dichiarati dal Maggio musicale fiorentino, senza dimenticare i 180 licenziamenti, tra musicisti e coristi, dell'intero organico dell'Opera di Roma, poi rientrati a seguito dell'intesa raggiunta tra direzione del teatro e sindacati.

"Si continua a fare impropriamente una strumentale propaganda informativa – sostiene Silvano Conti, coordinatore nazionale Slc –, volendo far credere che i problemi delle fondazioni siano da imputare unicamente ai lavoratori e al costo del lavoro. E nel contempo, si omette di evidenziare che le reali cause della non tenuta complessiva del sistema sono in buona parte strettamente legate a incapacità e incompetenza gestionale e a volontà precise di non reale controllo verso chi opera senza trasparenza e correttezza. Mentre sono proprio i lavoratori che dal 2010 ad oggi hanno sostenuto la produzione dei diversi teatri, arrivando anche ad autoridursi lo stipendio dei rispettivi contratti integrativi aziendali".

"Invece – prosegue Conti –, sul banco degli imputati bisogna mettere i sovrintendenti, che sono sempre gli stessi: ad ogni scadenza, vengono puntualmente riconfermati. Si tratta di una ventina di persone che passano da un teatro all'altro, creando soltanto buchi di bilancio. Per questo, chiediamo che si faccia finalmente pulizia nel settore a livello di figure dirigenziali, e che i responsabili dei teatri abbiano profili di capacità, competenza ed etica. Dobbiamo dare una svolta reale con una legge di riforma di riassetto e riorganizzazione per rilanciare tutto il mondo artistico e culturale". 

Nel frattempo, il debito complessivo delle fondazioni cresce: "Abbiamo raggiunto i 360 mlioni di deficit dal 1996,  ovvero dalla nascita delle fondazioni ad oggi – osserva Fabio Begnini, segretario nazionale Uilcom –, la cui entità non è dovuta solo a una mancata previsione preventiva di finanziamenti pluriennali certi e ai ripetuti improvvisi e non programmati tagli del Fus, il fondo unico dello spettacolo – che risulta dimezzato nell'arco di venti anni – e delle risorse decentrate, ma è in buona parte da imputare anche all'inadeguatezza di molte dirigenze gestionali, ovvero sovrintendenti e direttori artistici, nel non essere capaci di organizzare le attività di produzione in modo da ottimizzare al meglio il potenziale di luoghi e risorse umane a loro disposizione".

"Senza dimenticare i costi di produzione – lamentano ancora i sindacati –, sovente esagerati, legati a che a scelte di costosissimi e fallimentari allestimenti non adeguatamente utilizzati; una non oculata politica degli appalti, spesso ingiustificatamente troppo costosi, a discapito di una più economica produttività interna; una scarsa attenzione nell'uso equilibrato e organico del repertorio di ciascun teatro; una colpevole sottovalutazione delle possibili ottimizzazioni realizzabili con coproduzioni coordinate e di scambio tra fondazioni; inappropriate operazioni finanziarie con le banche, comportanti il pagamento di ingiustificati interessi crescenti che in alcuni casi hanno assunto addirittura caratteri anatocistici ai limiti dell'usura; debordanti ingerenze di agenzie e impresari, legati anche allo star system. E infine, non ultima, l'assenza di politiche ministeriali coerenti e a tutela del valore culturale e delal qualità produttiva delle fondazioni".    

"Una piccola parte dei debiti è con i fornitori – rileva Enrico Sciarra, segretario nazionale Fials –, ma il grosso è con le banche che hanno anticipato i soldi che lo Stato dà in ritardo per la programmazione della stagione artistica. Gli interessi che vengono applicati devono essere annuali e non possono essere calcolati di tre mesi in tre mesi, tantomeno applicando gli anatocismi". Un'operazione, quella della ricontrattazione del debito, che è già stata considerata per il Maggio fiorentino. "In quel teatro – aggiunge Sciarra – hanno cominciato a fare un piano industriale. Ci si è accorti degli anatocismi e la direzione ha ricontrattato i debiti con la banca. Il risultato è che su 18 milioni di debiti maturati, ne sono stati abbonati 15". 

E non c'è davvero più tempo da perdere. Per legge, infatti, entro il 31 dicembre 2016 le fondazioni devono rimettere in sesto i propri bilanci, evitando la chiusura. Diversamente, è prevista la liquidazione coatta e lo scioglimento. Particolarmente a rischio sono 8 fondazioni su 14: Petruzzelli di Bari, Carlo Felice di Genova, teatro Comunale di Bologna, Maggio musicale fiorentino, teatro dell'Opera di Roma, teatro Massimo di Palermo, San Carlo di Napoli e teatro lirico Giuseppe Verdi di Trieste. "Non si può prevedere che ci siano elargizioni da parte dei privati, perchè sono in crisi come il pubblico. Pertanto, è necessario che i teatri ricontrattino con le banche i debiti che hanno accumulato".              

Nel corso della conferenza stampa, i sindacati hanno anche presentato uno studio a cura dell'università Bocconi ('L'opera italiana nel panorama mondiale'), dove si evince che nel mondo si assiste alla crescita esponenziale del settore, soprattutto in Germania che ricopre un ruolo centrale, sotto forma di rappresentazioni e nuove produzioni, dove a far la parte del leone è sempre l'opera italiana, con Verdi e Puccini i più gettonati. Ma sono in evoluzione anche paesi come Giappone e Corea, che hanno una posizione centrale nel network, perchè ospitano direttori e orchestre affermate e ben collegate ai paesi dominanti. Al contrario, da noi si verifica un processo di destrutturazione progressiva che sta portando all'implosione di tutto il sistema, dovuto anche alla crisi che sta fortemente condizionando l'attività dei teatri d'opera italani: tra il 2011 e il 2012 si è registrato un  meno 4% delle rappresentazioni, con i teatri locali particolarmente colpiti (-11%).