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Tra il 2008 e il 2009 ben 800mila mamme hanno dichiarato di essere state licenziate o di avere subito pressioni in tal senso in occasione di una gravidanza. E in Italia si assiste al solito circolo vizioso: occupazione femminile ai minimi, servizi di cura all'infanzia quasi inesistenti, bassa natalità, con una pesante ricaduta sul benessere dei bambini.
Lo afferma il rapporto "Mamme nella crisi" di Save the Children presentato oggi (18 settembre) a Roma al Senato. L'occupazione, che nel 2010 si attesta al 50,6% per le donne senza figli - ben al di sotto della media europea pari al 62,1% - scende al 45,6% già al primo figlio, al 35,9% se i figli sono due e al 31,3% nel caso di tre o più figli.
Le interruzioni del lavoro per costrizione alla nascita di un figlio, che erano il 2% nel 2003, sono quadruplicate nel 2009 diventando l'8,7% del totale delle interruzioni di lavoro. E se l'Italia ha il record sui tassi di inattività, ciò vale soprattutto per le donne, in particolare per la fascia più giovane e in piena età feconda (25-34 anni): inattivo il 35,6% nel 2010 e il 36,4% nel 2011. Anche quando il lavoro per le donne c'è, la qualità peggiora: nel 2010 è diminuita l'occupazione qualificata in favore di quella a bassa specializzazione, dalle collaboratrici domestiche alle addette ai call center.
L'incremento negli ultimi anni del part-time, per quanto riguarda soprattutto le madri lavoratrici, è dovuto quasi esclusivamente all'aumento di quello involontario, cioè non scelto ma accettato per la mancanza di occasioni di lavoro a tempo pieno, con una percentuale nel 2010 del 45,9% sul totale dell'occupazione a tempo ridotto, quasi il doppio della media Ue a 27 (23,8%).
Tra le categorie più vulnerabili ci sono le mamme di origine straniera e quelle mamme sole, i cui figli sono i più esposti al rischio di povertà con una percentuale del 28,5% contro il 22,8% della media dei minori in Italia. Ma l'orizzonte è scuro anche per le giovani donne che, se sono in possesso del solo diploma, fanno i conti con un tasso di occupazione ben inferiore a quello dei coetanei di sesso maschile: 37,2% contro il 50,8%.