Al centro del vertice i 6.500 esuberi (e le 2 mila nuove assunzioni) annunciati il 18 gennaio scorso da Tim per i prossimi tre anni. Un intervento di riorganizzazione del personale, contenuto nel piano industriale 2018-2020, che il Consiglio d’amministrazione dell’azienda telefonica ha approvato martedì 6 marzo. L’incontro tra management e sindacati Slc Cgil, Fistel Cisl e Uilcom Uil si tiene a Roma, alle ore 11 presso la sede di Telecom Italia (in via di Val Cannuta 250). 

Il piano di gestione degli organici prevede l’uscita di 6.500 dipendenti e l’ingresso di 2 mila nuovi lavoratori. La proposta dell’azienda è articolata in più misure: uscite volontarie ex art. 4 della legge Fornero, ossia 4 mila prepensionamenti a sette anni (come previsto dall'ultima legge di bilancio) concentrati nel solo 2018 (il bacino potenziale sarebbe di 5 mila lavoratori); esodi incentivati per 2.500 dipendenti, con 28-30 mensilità nel triennio 2018-2020. Le 2 mila assunzioni dovrebbero invece essere finanziate con la solidarietà espansiva, attraverso la riduzione di 20 minuti dell'orario giornaliero di tutti gli addetti. Ma nelle ultime ore si è fatta strada un'altra ipotesi, quella della cassa integrazione per gestire gli esuberi. Per la richiesta, che verrebbe legata a un piano di ristrutturazione, non sarebbe necessario l'accordo con i sindacati, ma andrebbe formalizzata direttamente al ministero del Lavoro. 

Nel cda del 6 marzo scorso l’amministratore delegato di Tim, Amos Genish, ha definito il piano industriale 2018-2020 “coraggioso, ambizioso e ben strutturato”. Sul tema della riduzione del personale, il manager ha detto di essere “in trattativa con i sindacati”, di “non avere in programma licenziamenti” e di “intravvedere una riduzione dei dipendenti ‘full time’ negli anni a venire”. Amos Genish, infine, ha rivelato che nel quarto trimestre 2017 Tim ha anche accantonato 679 milioni di euro che verranno appunto messi a disposizione per gli esuberi.

Ma il vertice sarà anche l’occasione per affrontare altre due importanti questioni. La prima è la separazione della rete di accesso fissa, approvata formalmente dal consiglio di amministrazione di Tim. Il progetto prevede la creazione di una nuova società (netco) controllata al 100 per cento da Tim, proprietaria della rete di accesso e di tutta l’infrastruttura, e dotata del personale necessario per fornire servizi all’ingrosso in maniera indipendente. Un progetto di cui si parlava da anni, e sul quale i sindacati non nascondono le proprie preoccupazioni, legate sia al futuro perimetro aziendale (e quindi al fatto che non si mettano a rischio altri posti di lavoro) sia alla ratio dell'operazione, che non deve essere, a loro giudizio, di carattere meramente finanziario.

La seconda questione riguarda la nuova politica degli appalti messa in atto da Tim. “La società ha avviato un taglio dei costi che coinvolge tutti i fornitori, mettendo in discussione l’insieme della filiera e la stessa sostenibilità industriale dell’azienda” spiegano Slc Cgil, Fistel Cisl e Uilcom Uil, ricordando che “l’ex amministratore delegato Cattaneo, immediatamente dopo la nomina, realizzò un consistente taglio dei costi per circa un miliardo verso i fornitori per raggiungere gli obiettivi di risparmio del piano 2016-2018, con la promessa di consolidare i volumi e stabilizzare i prezzi delle commesse”. Con questa nuova strategia Tim sta “mettendo in forte discussione la continuità aziendale delle ditte fornitici, con il serio rischio di pesantissime conseguenze occupazionali”. In conclusione, i sindacati rilevano anche che il “comportamento di Tim risulta in forte controtendenza rispetto al percorso preso dalle istituzioni, con le organizzazioni sindacali confederali e Asstel, che ha permesso di regolare il costo degli appalti pubblici di attività dei call center, fissando un costo minimo che rispetta il ccnl, attraverso un decreto”.

Sui contratti economici con i fornitori di servizi è intervenuto nei giorni scorsi anche il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda, mediante due lettere inviate all'amministratore delegato di Telecom Amos Genish. Il titolare del dicastero, riferendosi proprio alle revisioni contrattuali richieste da Tim alle aziende, si dice preoccupato per i rischi di un settore che impegna 20 mila tecnici qualificati, rimarcando che un’ulteriore pressione sui prezzi avrebbe conseguenze negative per l’occupazione. Il timore di Calenda, in particolare, sarebbe quello di possibili nuove gare a ribasso che il management di Tim potrebbe avviare con il possibile coinvolgimento di fornitori stranieri, non operanti nel settore e senza dipendenti in Italia.