Le donne vogliono cambiare il mondo. Un mondo sempre meno amico, che alza muri e che aumenta le disuguaglianze di genere e anche quelle tra le stesse donne, costrette a difendere la loro libertà e il diritto all'autodeterminazione. Ci sono segnali di sessismo e di una profonda regressione ovunque. Alcuni giorni fa, durante un dibattito nel civilissimo Parlamento europeo sul tema delle disparità salariali di genere, il rappresentante polacco Janusz Korwin-Mikke ha detto che le donne sono più deboli, più piccole e meno intelligenti degli uomini, perciò è giusto che guadagnino di meno.

Ma i segnali preoccupanti non arrivano solo dal vecchio continente. All'indomani dell'insediamento del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, per protestare contro le discriminazioni, il 21 gennaio le donne americane hanno marciato su Washington. È stata una delle manifestazioni più massicce della storia a stelle e strisce. Accompagnata dalla protesta che nello stesso giorno andava in scena in tante altre parti del mondo (Canada, India, Argentina, penisola antartica, Congo, Madagascar, Iraq, Arabia Saudita, Italia).

Dallo NiUnaMenos argentino fino alla Women’s March, fiumi di donne, spesso insieme agli uomini, in questi ultimi mesi sono scese in piazza un po' ovunque nel mondo: a Malta ottenendo la vendita senza ricetta, in farmacia, della pillola del giorno dopo; in Spagna, Irlanda e Polonia per difendere la salute riproduttiva. Le argentine, a Rosario, in migliaia hanno urlato slogan come “Giù i rosari dalle nostre ovaie” e chiesto il diritto all’autodeterminazione. Le donne francesi e islandesi hanno fatto uno sciopero virtuale contro il gender pay gap. Le vie di Roma il 26 novembre sono state invase da oltre 200mila donne per dire basta alla violenza maschile, che nel 2016 ha visto 116 donne uccise nel nostro Paese. E anche per denunciare che la legge 194 sull'interruzione volontaria di gravidanza, a quasi 40 anni dalla sua emanazione, è sempre meno applicata.

L'8 marzo, contro la violenza di genere in tutte le sue forme, è il giorno della protesta globale. La Cgil partecipa a tutte le manifestazioni che si svolgeranno nei territori, insieme ai tanti soggetti che si mobilitano, promuove iniziative sul superamento delle disuguaglianze, a partire da quella salariale e contro la violenza maschile, con assemblee, manifestazioni e scioperi nei luoghi di lavoro, in cui se ne verifichino le condizioni, con il consenso delle delegate e delle lavoratrici ad attuarli.

È ora di cambiare pagina. L'Italia non è un paese per donne: il divario con gli uomini che lavorano (20%) è il maggiore d'Europa, fatta eccezione per Malta. E quel che è più grave, nell’anno in cui è entrato in vigore il Jobs Act. Non è sufficiente una politica che sostiene la condizione delle donne attraverso i bonus. Sono necessarie politiche che contrastino le discriminazioni e le disuguaglianze crescenti, avendo presente che il principale sostegno alla maternità e al contrasto alla violenza è quello degli investimenti per aumentare i posti di lavoro delle donne. E quel che serve è un piano straordinario per l'occupazione femminile, con misure come quelle contenute nel Piano del lavoro della Cgil.

"Le donne sono il cuore dell'economia europea" è scritto nel manifesto 8 marzo della Ces-Etuc, la confederazione europea dei sindacati, ma troppo spesso il loro lavoro è invisibile, quando non riconosciuto, o retribuito meno di quello di un uomo. Le retribuzioni in Italia arrivano a punte del 30% in meno rispetto agli uomini, a parità di mansioni. A causa dei voucher, poi, per le donne aumenta il lavoro povero e precario.

Nel dossier Inca presentato lo scorso 8 febbraio – che riprendeva dati Inps – scopriamo che nel 2015 tra i lavoratori attivi (750mila), ovvero coloro che hanno una posizione assicurativa già aperta, le donne pagate esclusivamente con voucher rappresentano oltre la metà, con un’età media di 35,1 anni. Il dossier dell'Inps sui percettori di voucher, a proposito delle persone prive di posizione assicurativa (cioè coloro che non risultano iscritti a nessuna gestione previdenziale) dice che sono stati 200mila nel 2015, sei volte di più di quelli registrati nel 2010; si tratta di lavoratori sempre più giovani, con un’età media che si è ridotta continuamente dai 28,3 anni del 2010 sino ai 22,6 del 2015. In questo gruppo, l’incidenza delle donne è salita dal 45% del 2010 al 58% del 2015.

Eliminare i voucher è allora necessario, come ripetono da mesi i lavoratori e le lavoratici nelle migliaia di assemblee promosse dalla Cgil, per chiedere l’abrogazione legislativa di questo strumento. Tutto questo ci dice che bisogna continuare a lottare, oltre l'8 marzo, per riprendere tutte insieme le battaglie del passato che hanno portato a tante conquiste importanti. I segnali che ci arrivano da tutto il mondo ci dicono che siamo pronte.

Loredana Taddei è responsabile Politiche di genere della Cgil nazionale

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Tag: 8 marzo 2017