La “spending review all’italiana” colpisce soprattutto il Sud, ha un effetto depressivo sull’economia dell’area e aumenta i divari regionali. Il taglio della spesa pubblica in percentuale sul Pil sarà del 6,2 al Sud, più del doppio rispetto al Centro-Nord (-2,9). Giù anche la spesa in conto capitale: -2,1 per cento contro il -0,8 del Centro-Nord.

È quanto emerge da uno studio della Svimez che sarà pubblicato sul prossimo numero della rivista “Economia Pubblica – The Italian Journal of Public Economics”, condotto su elaborazioni di dati della Commissione europea, del ministero dello Sviluppo economico e presentati in vari documenti governativi.

Lo studio analizza gli effetti dei tagli operati con la spending review e delle manovre degli ultimi anni sull’andamento dell’economia delle due macroaree. “Tagli - si legge nel dossier - che non hanno interessato i veri sprechi, provocando invece un crollo generalizzato di investimenti pubblici e di incentivi alle imprese, mentre servirebbe trasformare gli sprechi in spesa produttiva per i servizi pubblici fortemente carenti specie nelle aree svantaggiate del Paese”.

Insomma, se nei documenti ufficiali si inizia a parlare per la prima volta di spending review dieci anni fa, con l’obiettivo di rendere più efficiente la fornitura dei servizi pubblici ai vari livelli di governo, "in realtà le azioni messe in campo finora - si legge nello studio - hanno interessato sostanzialmente il crollo degli investimenti pubblici e delle misure di sostegno alle imprese".

In definitiva, sotto l’etichetta della spending review “si nasconde una serie di tagli che, soprattutto con riferimento alle spese in conto capitale, hanno esercitato un effetto depressivo sull’economia dell’area, amplificando i divari regionali e facendo perdere allo strumento il suo ruolo di riequilibrio territoriale. Di qui la necessità di trasformare gli sprechi in spesa produttiva per servizi pubblici fortemente carenti specialmente nelle aree svantaggiate del paese”.