In attesa che il Senato approvi in via definitiva la nuova Legge sulla Cooperazione allo Sviluppo, presumibilmente nel testo modificato approvato dalla Camera dei Deputati lo scorso 17 luglio, le principali reti delle Ong, altre organizzazioni della società civile e soggetti politici che hanno seguito l'iter della legge hanno, in generale, salutato con favore l'approvazione del testo.

Dopo tanti anni, abbiamo di fronte una legge certamente più adeguata ai tempi e uno strumento che può far sperare di scongiurare il declino definitivo della cooperazione pubblica in Italia.

La legge, insieme a diversi limiti, ha molti aspetti positivi: nel complesso costituisce una importante innovazione, anche per il riconoscimento del ruolo della società civile e della pluralità dei soggetti insiti nel “sistema” della cooperazione italiana.

C'è sicuramente uno sforzo per integrare positivamente le politiche di cooperazione allo sviluppo e la politica estera italiana e di dare all'insieme degli interventi pubblici una maggiore coerenza, anche se l'inadeguatezza delle risorse, da un lato, e l'eccessiva enfasi su ruolo del settore privato profit, nella legge e nelle concrete politiche di questo governo, dall'altro, non consentono una piena fiducia sull'effettivo dispiegamento di obiettivi condivisibili, pur enunciati.

Come spesso accade nel processo legislativo, inoltre, sarà importante la normativa regolamentare derivata, dalla quale possono discendere ulteriori elementi positivi o negativi.

Valutazioni generali
Come avevamo espressamente indicato nelle nostre Osservazioni al Disegno di Legge – inviate alla Commissione Esteri del Senato - non possiamo non confermare una certa assenza di ambizione nel riportare il nuovo assetto degli strumenti a disposizione dell'intervento pubblico e del coordinamento tra esso e le attività della società civile in un ambito più attento e coerente alle profonde trasformazioni socio-economiche globali e al dibattito, in sede ONU, sull'Agenda post 2015.

La stessa concezione di “sviluppo” è rimessa in discussione, con un 'attenzione alla necessità di nuovi paradigmi economici che garantiscano la sostenibilità ambientale e sociale della crescita e dello sviluppo economico e l'acquisizione dell'interdipendenza delle tre dimensioni ambientale, sociale ed economica e della governance democratica e partecipata.

La definizione di “cooperazione internazionale per lo sviluppo sostenibile, i diritti umani e la pace”, se coglie questo nuovo necessario riferimento, non sembra “permeare” con sufficiente forza e coerenza l'insieme del testo.

Cambia profondamente anche la definizione degli strumenti e dei soggetti: più che di “aiuto” pubblico allo sviluppo si deve parlare appunto di “cooperazione”, in un quadro di parternship, per definizione paritaria, tra paesi e soggetti, di piena ownership dei paesi verso cui – in quadro bilaterale e multilaterale – si attivano politiche di cooperazione.

Termini anche questi che sembrano recepiti in forma un po' “incerta” nella nuova legge. Se gli obiettivi di fondo dell'Agenda post 2015 riguardano i tre pilasti su menzionati, maggiore attenzione, rispetto a quanto compare nel testo, doveva essere data non solo alla lotta alla povertà – nella prospettiva di tempi certi per la sua completa eradicazione – ma anche ai temi, ad essa collegati, ma allo stesso tempo più generali, della lotta alle diseguaglianze sociali (che riguardano anche i paesi a medio reddito e sviluppati), della creazione di posti di lavoro dignitosi e della protezione sociale universale (Social Protection Floor), nella definizione proposta dall'Organizzazione Internazionale del Lavoro, e, in senso più lato, dell’empowerment delle comunità.

Gli standard internazionali del lavoro dell'OIL, il ruolo dei sindacati e della contrattazione collettiva – inclusi gli Accordi Quadro Internazionali tra federazioni sindacali mondiali e grandi imprese multinazionali - rappresentano uno degli elementi costitutivi di ogni partnership per la cooperazione allo sviluppo sostenibile e per sconfiggere le diseguaglianze, ma continuano a non essere valorizzati neanche dalla nuova legge.

I sindacati democratici, indipendenti e rappresentativi sono soggetti fondamentali – in tutti i paesi partner – della promozione ed attuazione delle politiche di cooperazione e le imprese, private e pubbliche, sono parte di tali politiche dentro un quadro coerente di promozione dello sviluppo sostenibile, in tutte le sue componenti, e nel pieno rispetto delle norme internazionali del lavoro dell'OIL e delle Linee Guida dell'Ocse per la “condotta responsabile d'impresa in un contesto globale”, che, nella loro ultima revisione, inglobano i Principi Guida delle Nazioni Unite su Imprese e Diritti Umani.

Soggetti, i primi, e criteri, i secondi, recepiti solo in forma molto debole dal testo approvato.

Coerenza delle politiche
Il tema della coerenza delle politiche è affrontato, nel testo approvato, con diversi strumenti e in diversi articoli.

Il MAE diventa MAECI, aggiungendo esplicitamente la Cooperazione Internazionale alle finalità del Ministero degli Esteri, superando quindi la definizione e l’interpretazione precedente che vedeva la cooperazione allo sviluppo come “parte integrante della politica estera”.

L'istituzione del Vice Ministro con delega alla cooperazione allo sviluppo rafforza le possibilità di unitarietà e coerenza delle politiche.

E’ istituito il Comitato Interministeriale per la Cooperazione per garantire la coerenza delle politiche nazionali con i fini della cooperazione allo sviluppo.

E’ Istituito il Consiglio Nazionale per la Cooperazione allo Sviluppo, composto dai soggetti pubblici e privati, profit e non profit, inclusi i rappresentanti dei ministeri coinvolti, delle regioni ed enti locali delle principali reti di organizzazioni di società civile di cooperazione.

C’è il riconoscimento di una varietà di soggetti della cooperazione: ONG, organizzazioni di commercio equo e solidale, le organizzazioni di immigrati, le imprese cooperative e sociali, i sindacati, il volontariato e altri soggetti del terzo settore.

Tuttavia, ci sono due preoccupazioni di fondo, che non ci sembrano sufficientemente fugate nel testo approvato.

La prima riguarda l'effettiva coerenza di tutte le politiche – economiche, commerciali, dell'internazionalizzazione delle imprese, della presenza nelle agenzie internazionali e sovranazionali (CE, BCE, FMI, BM, WTO, OCSE, …) alle politiche di cooperazione allo sviluppo sostenibile, e non viceversa piegando queste ultime agli “interessi concorrenziali del sistema Italia”, come ci sembra spesso di intravvedere nelle scelte concrete e come alcuni attori, economici, ma non solo, ci sembrano spesso intendere e suggerire.

In questo ambito, il ruolo del privato profit deve essere ricondotto dentro il quadro delle coerenze definite, in forma partecipata, dall'attore pubblico.

Si ha spesso la sgradevole sensazione di una sorta di gioco delle parti o di fraintendimento (qualche volta intenzionale) tra il soggetto pubblico, che vede nell'intervento privato un modo per rimpinguare le scarse risorse pubbliche dedicate alla cooperazione, e una parte, almeno, dei soggetti privati, che – anche di fronte al ridursi delle risorse più direttamente rivolte al sostegno all'internazionalizzazione delle imprese – vedono nel canale della cooperazione nuove fonti di incentivo.

La seconda preoccupazione riguarda il ruolo del Consiglio Nazionale per la Cooperazione allo sviluppo, che non può essere un organismo solo formale o convocato raramente, ma dovrebbe costituire la sede in cui la società civile, nel suo senso più ampio, ha effettiva possibilità di partecipare costantemente e con “voce in capitolo” alla elaborazione, programmazione, monitoraggio e verifica dell'efficacia delle politiche di cooperazione.

Sarebbe pertanto opportuno indicare – almeno in sede regolamentare - la possibilità che sia convocato anche su istanza dei partecipanti non istituzionali.

Il sistema di governance
La legge approvata – ed è questa la parte più innovativa - delinea un sistema di governance basato su tre soggetti principali:
• Il MAE/DGCS, con ruolo politico/strategico,
• l’Agenzia con compiti operativi e
• il Comitato Congiunto per la Cooperazione allo Sviluppo, quale “Board” per l’approvazione della Programmazione e dei finanziamenti, simile all’attuale Comitato Direzionale. 

A questi si è aggiunto, nella fase finale, alla Camera, il ruolo della Cassa Depositi e Prestiti come “Banca di Sviluppo”

Riteniamo condivisibile questa nuova architettura.

Infatti, se è vero che da un lato la creazione di due nuovi soggetti (l’Agenzia e la Banca di Sviluppo) comporta rischi di frammentazione istituzionale (peraltro evidenziati di recente dall’OCSE DAC) e di incoerenze, nonché di maggiori costi di gestione, dall’altro essa può aumentare l’efficienza e l’efficacia dell’azione di cooperazione grazie ad una chiara divisione del lavoro e, quindi, ad una maggiore specializzazione degli operatori responsabili delle varie fasi di attività.

In tale contesto, l’Agenzia, a fronte di strumenti di gestione più snelli, dovrà sviluppare chiare procedure di trasparenza, anche proseguendo il lavoro già avviato, in questo ambito, dalla DGCS. Questo principio ispiratore non sembra però trovare pieno riscontro nell’articolato del disegno di legge. Infatti, in più punti si rilevano vaghezze e aree grigie, che dovranno essere sanate con il successivo provvedimento di natura regolamentare, anche senza chiare indicazioni da parte della Legge che ne è la fonte.

In particolare si rileva quanto segue.
- Non è definito quale sarà il soggetto competente per la identificazione delle singole iniziative bilaterali e multi-bilaterali, sia a dono che a credito.
- Non è chiaramente identificato il soggetto che svolgerà i compiti di coordinamento operativo nel caso di iniziative finanziate con diversi strumenti finanziari (doni, crediti, contributi, etc.).
- Non è chiaro chi avrà la responsabilità del dialogo con le controparti istituzionali dei PVS per gli aspetti di programmazione e per l’attuazione delle specifiche iniziative.
- Non è sviluppato un sistema di accountability in linea con le consolidate prassi internazionali. Infatti nel documento di programmazione triennale, che “indica la visione strategica, gli obiettivi di azione e i criteri di intervento”, non è prevista la definizione preventiva di Target e di Indicatori di performance, di risultati nei PVS e di obiettivi globali (Results Framework) per permettere al Parlamento ed all’opinione pubblica di verificare a consuntivo l’efficacia dell’attività di cooperazione e per giustificare l’investimento in quest’attività di Risorse pubbliche. E’ vero che all’art. 12, comma 4, si prevede che la relazione per il Parlamento debba indicare “i risultati conseguiti mediante un sistema di indicatori misurabili”, ma questo sembra debba essere un esercizio a posteriori, senza riferimento ad un “progetto preventivo”. 
- Non si delinea un sistema di controllo/vigilanza sull’operato della “Banca di Sviluppo”. L’art. 11, comma 2, attribuisce al Ministero degli Affari Esteri compiti di “controllo e vigilanza sull’attuazione della politica di cooperazione” mentre l’art. 17, comma 13, lettera b, prevede la disciplina nel regolamento delle funzioni di vigilanza sull’Agenzia da parte del MAE ma non si riscontrano analoghe previsioni per quanto riguarda la Cassa Depositi e Prestiti che pure è chiamata ad amministrare fondi pubblici per lo sviluppo.
- Non è chiaro come la DGCS potrà svolgere suddetta vigilanza sull’Agenzia (ed auspicabilmente anche sulla CDP) in assenza di competenze e risorse per la “valutazione”.
- Non si comprende come il Comitato Congiunto potrà deliberare sulla programmazione e sul finanziamento delle iniziative di Cooperazione senza idonei supporti tecnici ed amministrativi.

Resta, infine, dirimente che le risorse della cooperazione pubblica aumentino, sia in termini di stanziamenti in legge di stabilità che per le capacità di attrarre coerenti investimenti privati e donazioni. Senza un significativo aumento di risorse verrebbe meno qualsiasi efficace politica di cooperazione e l'istituzione dell’Agenzia rischierebbe di determinare maggiori costi per il bilancio dello Stato.

Altri punti critici
Assenza di qualsiasi riferimento ai temi delle migrazioni e dei rifugiati in Italia ed Europa

Rimane una certa miopia nel non prevedere politiche e obiettivi su una tematica particolarmente importante, e strutturale, nei rapporti coi paesi partner e nel bacino del Mediterraneo.

Ruolo delle Regioni
In nome del coordinamento e della sistematicità dell'azione, è prevalso,un ritorno ad un certo centralismo.

Progetti promossi
Manca un esplicito riferimento alla possibilità delle Ong e degli altri soggetti della società civile di presentare progetti autonomi (leggi: progetti "promossi"). La legge non lo nega, ma nemmeno lo esplicita.

“Concedere contributi” può essere letto come relativo a progetti proposti dalle Ong in contrasto con l'affidamento della realizzazione iniziative, sia nella prima frase sia nella seconda. Ma non è esplicito come il testo previsto per le altre amministrazioni dello stato e le università (art.24 comma 2).

Il punto andrebbe positivamente chiarito con la messa a punto dei Regolamenti.

EAS
In tutta la legge si fa riferimento alla sensibilizzazione dell'opinione pubblica solo all'Art. 1 comma 4: . L'Italia promuove l'educazione, la sensibilizzazione e la partecipazione di tutti i cittadini alla solidarietà internazionale, alla cooperazione internazionale e allo sviluppo sostenibile.

L'argomento è del tutto assente e manca qualsiasi riferimento fra i compiti dell'Agenzia, che ha tutto lo sguardo rivolto all'estero. E' un tema da rivedere nella definizione dei regolamenti.