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Finalmente un passo avanti per il nuovo Codice Antimafia. Approda oggi (martedì 13 giugno) in aula al Senato la riforma del decreto legislativo 159/2011, a distanza di quasi due anni dall’approvazione della Camera (era il novembre 2015), dove comunque sarà costretta a ritornare per il varo definitivo. I 30 articoli del provvedimento derivano dalla proposta di legge d’iniziativa popolare del gruppo “Io riattivo il lavoro” presentata alla Camera il 3 giugno 2013, per la quale Cgil, Avviso pubblico, Arci, Libera, Acli, Lega Coop, Sos Impresa, Legambiente e Centro studi Pio La Torre raccolsero centinaia di migliaia di firme.
“Un pilastro”, così il segretario confederale Cgil Giuseppe Massafra definisce la riforma dai microfoni di RadioArticolo1: “Uno strumento fondamentale che però rischia, con lo spettro dello scioglimento anticipato delle Camere, di non esserlo mai, almeno in questa legislatura”. La mancata approvazione sarebbe per la Confederazione “un danno gravissimo: il Codice Antimafia rappresenta una risposta forte proprio per individuare strumenti che siano realmente di contrasto alle forme di criminalità organizzata”. In questi anni la Cgil, conclude Massafra, ha “organizzato numerosi appuntamenti e presidi anche davanti a Palazzo Madama insieme ad altre realtà associative che condividono la nostra battaglia. Ora il Parlamento deve dare un segnale efficace, evidente. Per noi questo è fondamentale”.
La proposta di legge d’iniziativa popolare, poi integrata dal lavoro fatto nel frattempo dalla Commissione parlamentare antimafia, presenta numerose novità. A iniziare dal rafforzamento dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, istituita nel febbraio 2010. La struttura finora ha acquisito, a livello nazionale, oltre 17 mila beni, per un valore complessivo (tra denaro, terreni, aziende e immobili) di circa 25 miliardi di euro. L’Agenzia sarà posta sotto la vigilanza del ministro dell'Interno, avrà sede a Roma (finora era a Reggio Calabria), mentre sedi secondarie saranno Reggio Calabria, Palermo, Catania, Napoli, Bologna e Milano.
La dotazione organica dell'Agenzia salirà a 200 unità (oggi sono meno di cento e in gran parte “comandate” da altre amministrazioni), ripartite tra le diverse qualifiche, dirigenziali e non. Il direttore verrà scelto tra figure professionali che abbiano maturato esperienza professionale specifica, almeno quinquennale, nella gestione dei beni e delle aziende (come prefetti, alti magistrati, dirigenti dell'Agenzia del demanio). La riforma prevede anche l’istituzione di un Fondo di garanzia per sostenere le aziende sequestrate.
Nuove norme sono stabilite per gli amministratori giudiziari (che non potranno avere più di tre incarichi e non potranno essere parenti fino al quarto grado, conviventi o “commensali abituali” del magistrato che conferisce l'incarico), mentre sequestri e confische sono previsti anche per chi favorisce i latitanti, commette reati contro la pubblica amministrazione (per reati come corruzione o concussione) o si macchi del delitto di caporalato. La riforma, infine, prevede anche il divieto di giustificare la provenienza dei beni come reimpiego di somme frutto di evasione fiscale, il controllo giudiziario delle aziende per consentire a quelle sospette di andare comunque avanti anche se sotto controllo, la previsione di strumenti finanziari per gestire e valorizzare le imprese sequestrate, i tribunali distrettuali per le misure di prevenzione.