Era una questione occasionata dalla riflessione su che cosa accomuna l’Italia di oggi a quella di 150 anni fa. La similitudine con i colori delle squadre di calcio, va bene. Ma poi? E l’osservazione che, andando all’indietro, le generazioni più antiche e più recenti si toccano. Ma poi? Occorreva una terza puntata: questa, nata casualmente ma forse decisiva.

Per uno di quei movimenti consueti, che però possono avere talvolta conseguenze diverse da quelle che ci si ripromette, avevo preparato la pila di libri da portare sul comodino, in modo da poterne scegliere uno in attesa del sonno, che viene quando vuole. Sulla pila avevo posto un vecchio libro di George Orwell, il grande scrittore di Omaggio alla Catalogna, della Fattoria degli animali, di 1984 e di centinaia di articoli uno più mirabile del’altro. Questo libro si intitola Tra sdegno e passione e contiene una scelta di saggi, articoli e lettere dello scrittore.

Ovviamente, essendo un libro di grande intelligenza, nessun editore lo ha ristampato dal 1977. Contiene un saggio intitolato “Il leone e l’unicorno”, che si avvia con uno degli attacchi più strepitosi del Novecento, per potenza di sintesi unita a un’apparente semplicità. Immaginate le bombe tedesche sull’Inghilterra. Orwell: “Mentre scrivo, individui altamente civilizzati mi volano sulla testa, cercando di uccidermi. Essi non mi odiano personalmente, io non li odio”. Ricordavo questo inizio ammirevole, che con due tratti disegna il rapporto tra Stato e individuo e il paradosso della guerra; ma è la pagina successiva che mi ha colpito per la pertinenza con quanto cercavo di chiarirmi. La trascrivo perché non solo c’è in questa pagina verità, ma c’è anche bellezza: “Che cosa può avere in comune l’Inghilterra del 1940 con quella del 1840? È vero, ma che cosa ha in comune, ognuno di noi, con il bimbo di cinque anni che si vede nella fotografia esposta dalla mamma sulla mensola del caminetto? Nulla, se non il fatto che il bimbo e noi siamo la stessa persona”.