Vendola ha fatto la sua scelta, intima, individuale e fortemente cercata insieme al suo compagno. Così come fanno tante altre famiglie omossessuali che non riescono a diventare genitori  e che però non sono raggiunti dal clamore della stampa…Eppure ci sono. Sono tante. Prova ne sono  i numerosi casi cui sono chiamati a pronunciarsi i tribunali. L’ultima sentenza è del Tribunale di Roma che ha riconosciuto l’adozione incrociata di due mamme, lesbiche, che hanno partorito le loro bambine ricorrendo a donatori di seme in Danimarca. Una pratica seguita da molte altre coppie.  Per la legge italiana, le due figlie non sono sorelle, ma alla coppia la giustizia ha riconosciuto con sentenza la possibilità di adottarle reciprocamente. Un pasticcio giuridico, frutto di una grave mancanza normativa nella legislazione italiana.

Gli altri paesi europei sono molto più avanti, tanto basta che la stessa Commissione ha più volte sollecitato  l’Italia a legiferare affinché le unioni civili abbiano una loro dignità giuridica e sociale, con tutto quello che ne segue in termini di tutela dei minori coinvolti. Il nostro paese sta provvedendo in tal senso,  con una legge che ancora deve esser approvata, sulla quale pesano le nubi di una discussione politica e sociale, sempre più distante dalla realtà. La legge sulle unioni civili, con il testo ora alla Camera, consentirà di fare qualche piccolo passo avanti, ma resta pur sempre amputata nella parte più delicata, cioè senza riconoscere alle coppie omossessuali la possibilità di adottare i figli naturali del proprio compagno. Eppure, ci sono: sono figli, cioè persone che sin dal loro primo vagito sono protagonisti inconsapevoli di una pratica, per lo più accettata e regolamentata nel resto del mondo, ma che per l’Italia resterà un reato, dunque punibile con sanzioni penali e amministrative.

Per i detrattori della stepchild adoption ciò non basta; pertanto, invocano che gli effetti della gravidanza surrogata siano vietati universalmente, anche laddove è stata regolamentata. Una pretesa esagerata che nulla ha a che vedere con la giusta determinazione di vietare qualunque forma di mercificazione della prole e del corpo delle donne; cioè quel business odioso che costringe donne povere a procacciarsi un reddito ospitando nel proprio corpo la crescita di un feto non loro. Una battaglia nobile, condivisa, che va condotta con determinazione, anche ricorrendo alla magistratura. Tuttavia, questo mal si concilia con la libertà di molti  di decidere di aiutare la nascita di bambino o di una bambina solo per un gesto di altruismo verso il prossimo. E’ una faccenda seria che si innesta in una discussione che ha tutto il sapore di buttare “in caciara” argomenti etici legittimi, ad alta sensibilità sociale. 

Quello che suscita maggiore inquietudine è la pretesa di attribuire comportamenti “insani” a tutti coloro che legittimamente hanno il desiderio di diventare genitori e che non ci riescono, perché omossessuali, oppure eterosessuali sterili. Le situazioni sono tante e complesse da non poterle ricomprendere in un unico schema. Come spiegare altrimenti l’aver legiferato sulla possibilità di una donna di ricorrere alla donazione di un seme per avere un figlio, e poi mostrare una chiusura crudele nei confronti delle coppie omossessuali? 

Per coloro che ostacolano l’approvazione della legge sulle adozioni c’è un argomento principe che cerca di parlare alla pancia degli italiani e non alla loro intelligenza. La pratica delle gravidanze surrogate è sinonimo di negatività. Punto e basta. Non si pongono minimamente il problema che si sta parlando di neonati, che poi diventeranno bambini e poi adulti, sui quali ricadranno le conseguenze di una loro mancata tutela sociale, psicologica e materiale; solo perché nati con un “utero in affitto”, anche se non sempre è stata pagata una locazione. 

Un atteggiamento che ha il sapore di certe crociate che le donne hanno dovuto subire durante le battaglie per l’emancipazione, come quelle sull’aborto, sul divorzio, per la cancellazione del reato di “adulterio”, per il riconoscimento del reato di stupro, fino ad  anni fa, considerato come un delitto contro la morale e non contro la persona. Negli anni settanta le donne sono state capaci di imporsi, unite, affinché si parlasse di tutto questo e affinché il legislatore provvedesse con leggi oramai acquisite ad affermare diritti, parità di trattamento nel lavoro e nella famiglia. Un atteggiamento bacchettone che abbiamo vissuto durante tutta la discussione per il referendum contro la legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita; e, ancora una volta, si è incaricata la magistratura e la Corte Costituzionale, con tanti pronunciamenti, a ripristinare un senso di giustizia laddove l’assurda e strumentale battaglia politica aveva impedito l’esercizio di diritti fondamentali per le coppie e, soprattutto, per i nascituri. 

L’impressione è che si voglia ancora una volta interpretare una qualsivoglia trasformazione sociale, già in atto,  in una occasione per ribadire la supremazia di una “morale pubblica” preconfezionata da ben pensanti, senza tener conto dei comportamenti sociali legittimi, che in qualche modo “devono essere tenuti a bada”, come se dietro di essi ci fosse sempre e comunque la volontà di ferire e di offendere il principio etico della nostra esistenza. 
Non è così. La stepchild adoption è una battaglia per il riconoscimento di “esistenze già in essere”, che hanno bisogno di essere tutelate, sotto ogni profilo. Chi ne ha paura vuole soltanto impedire che ciò avvenga; ogni essere umano, nato in qualsivoglia forma, ha il sacrosanto diritto di poter crescere con chi ha scelto di farli nascere e di avere la possibilità di affermare la propria dignità. Lasciamo ai giudici il solo compito di punire i reati, senza dover supplire con sentenze, come succede molto spesso, a mancanze legislative gravi che davvero offendono la persona e la convivenza civile. Se ciò non dovesse accadere, allora davvero si aprirebbero nuovamente le porte di tanti orfanotrofi, dove finirebbero bambini adottabili, contro la loro stessa volontà e contro la volontà dei loro genitori. Ghetti che, nella storia del nostro paese hanno rappresentato davvero un business. 
 
La battaglia sulle adozioni è un nuovo terreno di confronto sui diritti, che deve trovare uniti donne e uomini che hanno a cuore il benessere comune, nel rispetto delle diversità e dell’accoglienza, senza pregiudizi o convenzioni, che hanno tutto il sapore di ricondurre la discussione ad uno scontro falsamente ideologico.