Salvatore Carnevale fu assassinato dalla mafia il 16 maggio 1955, mentre si stava recando a piedi al lavoro. Quando cadde sulla trazzera, crivellato da sei colpi di lupara, il sindacalista non aveva ancora compiuto trent'anni. Era nato a Galati Mamertino, in provincia di Messina, il 25 settembre 1925, da Giacomo Carnevale e Francesca Serio. Qualche ora dopo l'omicidio, di corsa e col cuore in gola, mamma Francesca si recò sul luogo del delitto, abbracciò il figlio e gridò: “Me l’hanno ammazzato perché difendeva tutti i lavoratori, il figlio mio, il sangue mio! Gli assassini bisogna cercarli tra gli amici e i dipendenti della principessa Notarbartolo!”.

Il processo di primo grado si svolse a S. Maria Capua Vetere e si concluse con la condanna all’ergastolo dei quattro imputati: Giorgio Panzeca, Luigi Tardibuono, Antonino Mangiafridda e Giovanni Di Bella. Ma il processo d’appello e quello in Cassazione avrebbero ribaltato la sentenza di primo grado, assolvendo tutti gli imputati per insufficienza di prove. Il commento della mamma Carnevale: “Me l’hanno ammazzato una seconda volta!”.

A Sciara Carnevale si era trasferito da piccolo insieme alla madre, separata dal marito. Nel 1951, con un gruppo di contadini, aveva fondato la sezione socialista e la Camera del lavoro del paese. E subito cominciò a battersi per l’applicazione della riforma agraria e la divisione dei prodotti della terra a 60 e 40 (60% al contadino e 40% al padrone), ottenendo i primi risultati positivi. Una cosa inaudita per i gabelloti e i campieri della principessa Notarbartolo, che fino ad allora erano riusciti a tenere Sciara fuori dalle lotte contadine della Sicilia centro-occidentale. E, sull’onda dei primi successi, ad ottobre organizzò l’occupazione simbolica del feudo della principessa, ma fu arrestato insieme a tre suoi compagni. Scarcerato dopo dieci giorni, ma rinviato a giudizio, dovette aspettare l’estate del 1954 per essere assolto.

Nel frattempo il movimento contadino era cresciuto, fino a ottenere due decreti di scorporo delle terre del feudo eccedenti i 200 ettari: il primo del 21 luglio 1952, l’altro il 16 marzo 1954. Dai primi di agosto del 1952, però, il giovane sindacalista fu costretto ad andar via da Sciara, per “rifugiarsi” a Montevarchi, in provincia di Arezzo. Probabilmente per sfuggire alla feroce mafia di Caccamo che il 7 agosto aveva assassinato Filippo Intili, sindacalista caccamese. Oppure perché temeva una dura condanna al processo per l’occupazione del feudo Notarbartolo. Tornò a Sciara due anni dopo, e subito diede impulso a nuove lotte per chiedere l’assegnazione della terra ai contadini (dei 704 ettari scorporati, infatti, ne erano stati assegnati appena 202), occupando nuovamente il feudo Notarbartolo.

Ancora una volta fu minacciato dai mafiosi, denunciato dalle autorità e condannato a due mesi di carcere con la sospensione condizionale della pena. Rimasto disoccupato, inaspettatamente gli fu offerto un posto di lavoro nella cava Lambertini. Carnevale accettò e il 29 aprile 1955 cominciò a lavorare. Ma anche qui continuò la sua attività sindacale, organizzando gli operai per rivendicare il diritto alle otto ore lavorative. “Se ammazzano me, ammazzano Cristo!”. La sera del 10 o dell’11 maggio, un emissario della mafia gli disse: “Lascia stare tutto e avrai di che vivere senza lavorare. Non ti illudere perché, se insisti, finisci per riempire una fossa”. “Se ammazzano me, ammazzano Cristo!”, rispose Carnevale, che, a scanso d’equivoci, il 12 maggio proclamò lo sciopero dei cavatori per il rispetto dell’orario di lavoro e il pagamento del salario di aprile. All’iniziativa aderirono trenta dei sessantadue operai: un successo. Allora piombarono alla cava il maresciallo dei carabinieri Dante Pierangeli e il mafioso Nino Mangiafridda. “Tu sei il veleno dei lavoratori!”, gli disse il maresciallo. E il mafioso: “Picca nn’hai di sta malantrinaria!”.