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Roma, 10 ago. (Adnkronos) - Più aumenta la crisi, più bisogna impegnarsi socialmente e partecipare al processo di cambiamento sociale. Ne è convinto il 65% degli adulti di tutto il mondo, secondo una ricerca condotta dalla Walden University, il Social Change Impact Report 2012, per la quale sono stati coinvolti circa 9.000 adulti da Brasile, Canada, Cina, Germania, India, Giordania, Messico e Stati Uniti.
Eppure, a fronte di questa convinzione, quando le condizioni economiche peggiorano sono in molti ad ammettere di essere meno disposti o ugualmente disposti (quindi non 'più disposti') a fare donazioni in denaro (80%), a impegnarsi con un'organizzazione (77%), a donare beni o servizi (76%), a partecipare a una rete sociale (72%) o di volontariato (71%) per contribuire al cambiamento. Solo il 29% dichiara di essere piu' propenso a prestare servizi di volontariato o ad aderire a una rete sociale (28%) quando le cose vanno male.
La spiegazione risiede forse in questo dato emerso dalla ricerca: nonostante il 60% degli adulti intervistati riconosca il valore del non profit e faccia parte di associazioni o organizzazioni, istituzioni o imprese, la maggioranza (il 59%) crede che la più importante arma di cambiamento sia l'impegno individuale.
Ad eccezione della Germania, dove più della metà degli adulti (il 54%) riconosce a organizzazioni e imprese il ruolo di agenti fondamentali del cambiamento sociale.
Se per l'84% degli adulti essere coinvolti nei cambiamenti sociali è un fattore di primaria importanza, le motivazioni di questa posizione variano da Paese a Paese: statunitensi e canadesi lo fanno principalmente per aiutare i meno fortunati (64%); brasiliani e indiani si impegnano perché la cosa li fa sentire bene (rispettivamente il 70 e il 72%); per cinesi, tedeschi e giordani l'impegno sociale è una responsabilità morale (80%, 56% e 55%).
Infine, i messicani si impegnano perché vogliono essere parte della soluzione e non solo beneficiare delle azioni degli altri e anche perché in questo modo sperano di migliorare la propria vita e quella dei familiari (64%).
E veniamo all'impegno virtuale: gli intervistati si sono infatti detti più propensi ad impegnarsi socialmente, nei prossimi sei mesi, partecipando ad azioni virtuali, ovvero attraverso post, chat o petizioni online, purché avviati da altri (69%).