Agli inizi di febbraio, dopo aver inserito la richiesta nella piattaforma sindacale per il rinnovo del Ccnl Legno Industria 2013-2016, siamo riusciti a sottoscrivere con Federlegno i codici di comportamento da adottare nella lotta contro le molestie sessuali e il mobbing. La discussione è stata lunga, ma si trattava del primo accordo nazionale di questo genere nella filiera delle costruzioni. L’accordo, in premessa, definisce i principi cui attenersi e le definizioni di molestie sessuali e mobbing. L’obiettivo è codificare i comportamenti nel caso che una lavoratrice o un lavoratore abbia subito, nel luogo di lavoro, questo tipo di azioni violente e discriminatorie.

Due sono le figure di riferimento cui rivolgersi: la Consigliera provinciale per le pari opportunità (esterna al luogo di lavoro) e il responsabile delle risorse umane (o chi, in ambito aziendale, viene a ciò delegato). Mentre tre sono le procedure di denuncia e di eventuale composizione della conseguente situazione e/o controversia: la procedura informale e riservata, il ricorso all’arbitrato e la denuncia formale, che è bene analizzare in dettaglio.

La procedura informale e riservata prevede che la lavoratrice o il lavoratore possano rivolgersi alla Consigliera provinciale per le pari opportunità (che è pubblico ufficiale in materia di discriminazioni di genere), che comunicherà l’avvio della procedura all’azienda. Questa procedura, nella massima riservatezza, consiste nella composizione della controversia tramite il rapporto diretto con la/il presunta/o autrice/autore da parte della Consigliera. Essa può intervenire per rimuovere la situazione di disagio interloquendo con il presunto autore, facendogli presente che il suo comportamento offende, crea disagio e interferisce con lo svolgimento ordinato del lavoro. La Consigliera, nel procedere all’acquisizione degli elementi utili alla ricostruzione dei fatti, può audire i colleghi di lavoro della presunta vittima o altre persone informate sui fatti. Al termine di questa procedura, la Consigliera convoca le parti per effettuare un composizione pacifica della controversia.

Il ricorso all’arbitrato si attua quando le parti non vogliono procedere per la composizione pacifica della controversia: in tal caso, possono chiedere alla Consigliera di parità di risolverla in sede di procedura arbitrale. La denuncia formale, infine, si attiva quando la presunta vittima non ritiene di avvalersi della procedura informale oppure quando permangono molestie e mobbing. Nello sporgere formale denuncia la lavoratrice o il lavoratore possono avvalersi dell’assistenza della Consigliera di parità o del responsabile del personale dell’azienda. Qualora la persona autrice di molestie e mobbing è un/una dirigente, la denuncia formale deve essere inoltrata direttamente al Consiglio di amministrazione e/o al legale rappresentante dell’impresa. Qualora la persona autrice di molestie e mobbing sia il/la legale rappresentante dell’impresa, la denuncia può essere fatta alla Consigliera di parità. In questi due casi l’accordo oltrepassa il perimetro di competenza del Ccnl (i dirigenti, come noto, hanno un Ccnl diverso) e i legali rappresentati dell’impresa non hanno un rapporto di lavoro normato.

La direzione aziendale, nel corso del procedimento di accertamento, su richiesta, potrà adottare provvedimenti di trasferimento in via temporanea tra reparti e/o uffici o in altre unità produttive, compatibilmente con le esigenze organizzative aziendali. L’azienda, infine, provvede a tutelare la/il dipendente da qualsiasi forma indiretta di ritorsione o penalizzazione, vigilando sull’effettiva cessazione dei comportamenti molesti. La dipendente o il dipendente che denuncia fatti inesistenti con lo scopo di trarre vantaggi o denigrare qualcuno, ne risponde a livello disciplinare. In questo caso si è trovato il giusto equilibrio per tradurre in norme concrete il concetto che in fabbrica e nei luoghi di lavoro ci si deve comportare in “modo urbano”.

Per quanto riguarda l’attività di prevenzione e sensibilizzazione, l’accordo prevede che le imprese inseriscano nei percorsi formativi rivolti al personale gli orientamenti aziendali adottati in merito alla prevenzione delle molestie e del mobbing (e le relative procedure da seguire). Anche per i dirigenti è prevista una formazione idonea per diffondere la cultura del rispetto della persona, volta alla prevenzione di questi comportamenti. In questo caso il miglioramento apportato al Ccnl transita dal definire come formazione le azioni di prevenzione contro le molestie sessuali e il mobbing.

Nell’applicazione dell’accordo, dobbiamo superare il luogo comune che tende a ritenere inutile, da parte della vittima, l’intervento di soggetti terzi per risolvere tali insopportabili situazioni. Molte volte non si denuncia per vergogna, per il concetto del “quieto vivere” (meno disturbo il datore di lavoro, meglio è), della difficoltà a dimostrare agli altri che il fatto è avvenuto se solo in due hanno assistito alla molestia (uno in qualità di molestatore o molestatrice, uno in qualità di vittima).

Cosa ha prodotto finora l’accordo? A dimostrazione che è un percorso in divenire, segnaliamo un intervento della Consigliera di parità della provincia di Monza (dove risiede il cuore del distretto legno-arredo del mobile), che puntualizza alcuni aspetti e chiede chiarimenti in altri. Nei prossimi giorni le chiederemo un incontro per confrontarci su alcuni temi da lei sollevati.

Dobbiamo fare una campagna di assemblee che sensibilizzi le lavoratrici e i lavoratori sul tema, perché abbiamo bisogno di condividere alcuni elementi essenziali per questa lotta. Il ruolo di un’organizzazione sindacale come la Cgil è anche quello di migliorare gli orientamenti sociali delle comunità, non solo quello di contrattare e offrire servizi (che sono, tra l’altro, servizi indispensabili e necessari). Il primo è l’utilizzo di un linguaggio corretto, che è un aspetto ineludibile. Talvolta nell’esprimersi le persone ricorrono a frasi e concetti che denigrano e offendono chi le ascolta a partire dal loro orientamento sessuale, dal giudizio sul loro comportamento affettivo e dal commentare l’utilizzo degli organi sessuali.

L’aspetto del linguaggio non può essere una priorità per le persone permalose (che, come noto, considerano un’offesa l’essere apostrofate in certi modi), ma lo si deve affrontare come priorità per il principio che se devi esprimere un concetto non devi offendere qualcuno per essere inteso da un altro. Permane, poi, ancora molto diffuso il luogo comune che per essere un adulto devi usare un linguaggio triviale o scurrile. L’inizio della molestia o del mobbing si annidano lì, nell’apostrofare una persona in un certo modo e nell’interpretare l’assenza di risposta con una tacita condivisione. Ecco perché bisogna lavorare sul linguaggio. Nel corsi di formazione sindacale questo è un aspetto del tutto trascurato, e una qualche riflessione dobbiamo aprirla al nostro interno. Non si tratta di essere moralisti o bigotti: si tratta di tradurre in pratica quello che abbiamo convenuto con le controparti sul “modo urbano” con il quale ci si deve comportare negli ambienti di lavoro.

Il secondo aspetto è contrastare l’esercizio della responsabilità per chiedere dei favori sessuali ai lavoratori sottoposti nella scala di comando dell’azienda. Aspetto molto diffuso, che non dobbiamo mai stancarci di combattere. Le vittime maggiori sono le persone deboli nella catena organizzativa dell’azienda. Per un rinnovo di contratto, per una collocazione in un determinato regime di orario lavorativo, per l’assegnazione di un livello professionale o di una mansione meno pesante dal punto di vista fisico: sono molteplici, insomma, i motivi delle richieste di favori sessuali.

Il terzo aspetto è la non accettazione di orientamenti sessuali diversi dai propri. L’omofobia è purtroppo ancora una realtà che dobbiamo contrastare nei luoghi di lavoro. Bisogna sempre capire dal livello culturale da cui si parte. È dimostrato che il linguaggio denigratorio nei confronti dell’omosessualità contribuisce alla persistenza dell’omofobia, favorendo un clima di tolleranza del pregiudizio e accrescendo così la percezione di stigmatizzazione in coloro che ne sono vittima.

Certo, il passato non ci aiuta nel percorso che stiamo facendo. Nel corso dei secoli l’omosessualità è stata considerata dalla cultura occidentale un peccato (dal punto di vista teologico-morale), una malattia (dal punto di vista medico), una perversione (dal punto di vista psichiatrico e, per anni, anche psicoanalitico) o un crimine da perseguire e punire (dal punto di vista giuridico). Ci si rende conto, allora, di quanta strada dobbiamo percorrere, soprattutto nel campo della politica, dove dobbiamo fare un lavoro molto consistente contro l’omofobia. Dobbiamo, dunque, portare l’omosessualità negli alvei della natura, dello scambio di amore, della libertà, della persona e della normalità.

segreteria Fillea Cgil Lombardia