"Questa è un'occasione eccezionale, unica nella storia, perché è la prima volta che il sindacato presenta dei quesiti sul lavoro in forma autonoma, a sostegno di una legge d'iniziativa popolare, che presentiamo perché siamo arrivati a un punto di non ritorno sul mercato del lavoro, dominato negli ultimi vent’anni dalla dottrina neoliberista. La frontiera del precariato si è spinta sempre più in avanti, fino ad arrivare ai 115 milioni di voucher venduti nel nostro Paese, che hanno interessato un milione e mezzo di lavoratori, retribuiti mediamente 486 euro. La precarietà è stata utilizzata per abbattere il costo del lavoro, ma anche per intaccare i diritti fondamentali della platea dei cosiddetti garantiti”. Così Serena Sorrentino si è presentata stamattina ai lavoratori della Pfizer di Aprilia (in provincia di Latina) per illustrare la Carta dei diritti universali del lavoro (ascolta il podcast su RadioArticolo1).

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“Per questo – ha proseguito la dirigente sindacale –, la prima parte della nostra Carta dei diritti universali è fatta di principi universali, che nel 1946 furono inseriti nella nostra Costituzione, perché ci si rese conto che il lavoro era lo strumento attraverso il quale costruire il progresso economico e sociale del Paese. Successivamente, nel ’52 fu Giuseppe Di Vittorio ad affermare che tali principi dovevano entrare come costituzione materiale nei luoghi di lavoro, lanciando l'idea di uno Statuto delle lavoratrici e dei lavoratori, cosa che si realizzò nel 1970 con la legge 300. Statuto, Costituzione e diritto del lavoro sono i tre elementi che hanno regolato, fino al 2015, i diritti delle persone nei luoghi di lavoro”.

“Arriviamo al Jobs Act – ha aggiunto l’esponente Cgil –, che ha introdotto una differenza sostanziale, cambiando il rapporto nel diritto del lavoro tra i lavoratori e l'impresa: la legge, per la prima volta, si schiera a favore dell'impresa, cancellando l’articolo 18 per i neoassunti. Noi siamo ripartiti da qui, elaborando una proposta che è una risposta a una diversa regolamentazione del lavoro che ripristini diritti in capo alle persone che lavorano, come è stato fino a un certo punto, e si poggia su una politica economica differente, alternativa a quella che ci è stata somministrata fino adesso e che rimette al centro il lavoro, così come noi abbiamo scritto nel nostro Piano del lavoro che abbiamo presentato qualche anno fa: è il lavoro quell'elemento che fa la differenza, non è la causa della crisi, come hanno provato a convincerci. Al contrario, è stata proprio la precarietà e la svalutazione del lavoro a non consentirci oggi di uscire dalla crisi, come hanno fatto altri Paesi, perché il governo ha deciso di non investire su economia, crescita dei salari, di non far aumentare la domanda interna e quindi di aumentare quelle politiche che oggi fanno aumentare l'inflazione e rendono difficile uscire dalla crisi anche con una ripresa occupazionale.

“Il governo ha fatto una scelta – ha osservato ancora la segretaria confederale –, quella di separare il mondo del lavoro, nel pubblico abbiamo la legge Brunetta, nel privato il Jobs act, per il lavoro autonomo. Ma la filosofia è sempre la stessa: è l'impresa il soggetto regolatore, il soggetto che può decidere come il lavoratore deve rendere la sua prestazione lavorativa, in alcuni casi esplicitando anche senza accordo sindacale. Tre esempi, demansionamento, controllo a distanza e contratto a tutele crescenti. Che significa? Significa dire all'impresa: guarda che adesso puoi demansionare senza accordo sindacale, puoi immagazzinare i dati resi dalla prestazione dei lavoratori senza accordo sindacale e utilizzarli anche ai fini disciplinari, lo puoi licenziare che il licenziamento sia legittimo o illegittimo, il trattamento è lo stesso, te la cavi con due spiccioli. Cosa vediamo al fondo? Non solo distrutto quello che era il cuore dello Statuto dei lavoratori, ma cambia sostanzialmente il modo in cui le persone lavorano, perché aumenta la ricattabilità, e laddove la contrattazione collettiva viene richiamata è sempre in funzione derogatoria”.

“Allora noi abbiamo fatto una scelta, quella di giocare in attacco – ha continuato la sindacalista –, dicendo che occorre che qualcuno abbia il coraggio in questo Paese di dire che una diversa regolamentazione del mercato del lavoro si può fare, con una legge molto più moderna di quella che ci hanno consegnato attraverso il Jobs act. Ebbene noi dimostriamo, con la nostra Carta, che non solo non siamo conservatori, ma che abbiamo a cuore il futuro del Paese e soprattutto guardiamo alle nuove generazioni. La nostra legge ha una filosofia di fondo: l'universalità, gli stessi diritti riconosciuti a tutti i lavoratori, a prescindere del settore dove operano, a prescindere che le loro imprese siano sopra o sotto i 15 dipendenti, a prescindere dalla tipologia contrattuale. Bene, quindi la prima parte della legge è questa: ci sono i diritti universali che vanno riconosciuti a tutti, e le aziende non possono utilizzare la diseguaglianza e la differenza, la disparità di trattamento, compreso il riconoscimento di compensi equi per fare dumping tra lavoratori, tra precari e strutturati, tra anziani e più giovani”.

“La seconda parte della Carta è il modo in cui noi vogliamo rendere esigibili questi diritti, se vogliamo sottrarci al ricatto della legge, governata dalla politica che la orienta a seconda della convenienza, e vogliamo riprenderci  il governo dei processi del lavoro, rifondando anche il sindacato. In che modo? Dando attuazione all'articolo 39, trasformando in una legge quel Testo unico su democrazia e rappresentanza, che abbiamo sottoscritto, e qui facciamo una scelta, come Cgil, che è bene che sia valutata con consapevolezza da tutti noi. Per prima cosa, decidiamo di generalizzare il modello delle Rsu, ovvero tutti i lavoratori hanno diritto a eleggere direttamente i propri rappresentanti. Oggi nel mondo del lavoro non è così, una parte dei delegati viene eletta direttamente, un’altra parte viene nominata dalle organizzazioni sindacali. Invece, noi pensiamo sia giusto che i lavoratori votino liberamente i propri rappresentanti. Seconda cosa, su tutti i livelli di contrattazione ci deve essere un vincolo, se la contrattazione deve avere efficacia generale, cioè forza di legge, e vale per tutti gli addetti a cui si applica quel contratto; i lavoratori devono essere consapevoli dei contenuti della contrattazione e devono partecipare alla stipula di quei contratti. Come lo fanno? Aumentando la democrazia nei luoghi di lavoro, cioè a tutti i livelli di contrattazione, noi pensiamo debba essere codificato nei ccnl l'obbligo per le organizzazioni stipulanti di fare la consultazione dei lavoratori, prima sulle piattaforme e dopo sull'accordo. Alla fine, la parola e il potere di condizionare la contrattazione deve essere riportato in capo ai lavoratori, perché la contrattazione avrà efficacia generale e perché questo ci aiuta a riequilibrare il rapporto tra impresa e lavoratori”, ha concluso Sorrentino.