25 anni fa, il 23 maggio 1992, sull’autostrada A29 nei pressi dello svincolo di Capaci nel territorio comunale di Isola delle Femmine, a pochi chilometri da Palermo, perdevano la vita il magistrato antimafia Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Unici sopravvissuti, gli agenti Paolo Capuzza, Angelo Corbo, Gaspare Cervello e l’autista giudiziario Giuseppe Costanza.

“Giovanni Falcone è stato assassinato, con la sua compagna, con gli uomini della scorta, in un momento estremamente difficile nella vita politica del Paese – scrive Renato D’Agostini su Rassegna Sindacale –. I loro corpi straziati sono stati gettati, come troppe volte è successo, sul difficile cammino di questa disgraziata democrazia”.

La vita di Giovanni Falcone è stata segnata da vittorie e sconfitte, da polemiche, da lotte politiche confessabili e inconfessabili – aggiunge l’allora direttore di Rassegna –. Se ne è andato il suo sorriso mesto, ultima difesa di un uomo consapevole e tenace … mentre Palermo, bagnata dalle ‘lacrime di Dio’, nel giorno del funerale grida la disperazione di un popolo sopraffatto da un potere criminale che occupa la sua terra”.

A Giovanni Falcone, rivelerà nello stesso numero del settimanale Bruno Trentin, da molti anni la Cgil si rivolgeva per averne consiglio. Trentin conosceva personalmente il magistrato ucciso, ma non vuole raccontare aneddoti sull’uomo: “Non mi piace il giornalismo spettacolo”. Alla domanda “Che rapporto aveva la Cgil con Falcone”, Trentin però risponde: “Un rapporto intenso di collaborazione che risale ad anni lontani. Ricordo volentieri un convegno a Palermo promosso dalla Cgil in un momento in cui ci fu un attacco virulento contro il pool dei magistrati antimafia, proprio quando il giudice Carnevale dichiarava che la magistratura non poteva essere né pro né contro il potere mafioso. Falcone non fu presente al convegno per ragioni ovvie, ma noi andammo da lui e discutemmo a lungo. Insomma, perché non dirlo, era per scelta nostra, non per volontà sua, il nostro consigliere. Dopo l’assassinio di Bonsignore discutemmo con lui tutte le possibili iniziative per far luce su un episodio che lui coglieva in tutta la sua portata, a differenza di buona parte della stampa e di una parte delle forze politiche, almeno in Sicilia”.

Quello che la Cgil aveva con Falcone era, sempre a giudizio di Trentin, un rapporto umano e professionale di grande lealtà e di grande trasparenza, “in cui era chiaro che lui conduceva la sua battaglia e accoglieva, con la sua sorridente, ma ferma capacità autonoma di selezionare, tutti i contributi che potevano concorrere a questa sua battaglia della quale faceva una ragione di vita. Nel momento in cui si incontrava con persone, con organizzazioni come la nostra che, sia pure con qualche incostanza, facevano la sua stessa scelta, si creavano possibilità di simbiosi e di lavoro comune che in parte abbiamo sperimentato nella Cgil. E per alcuni di noi la possibilità di ricevere una straordinaria lezione di umanità e di rigore politico”.

Il 25 maggio 1992 Cgil, Cisl e Uil proclamano lo sciopero generale, mentre poco più di un mese dopo, il 27 giugno, una manifestazione unitaria vedrà sfilare a Palermo oltre 100 mila persone contro la mafia e per la legalità. “Un groppo in gola strozza la voce a Bruno Trentin – riporterà l’Unità –, a lui che da decenni grida sulle piazze i diritti dei lavoratori, quando evoca nel nome dell’amico scomparso un futuro riscatto: caro Giovanni, quel giorno verrà…”.

Ilaria Romeo è responsabile Archivio storico Cgil nazionale

DOCUMENTI

Rassegna Sindacale, n. 22, 8 giugno 1992 (pagina 1 e 2)