“Riformare il potere della finanza e riportarla al servizio dell'economia reale: questa sarebbe la vera riforma strutturale”. Con queste parole Danilo Barbi, segretario confederale della Cgil, ha introdotto il convegno “Riformare il capitalismo finanziario” organizzato oggi (30 ottobre) a Roma dal sindacato di Corso d'Italia. Un ragionamento, il suo, che ruota intorno allo “spaventoso processo di spostamento della ricchezza verso i capitali privati”, di fatto triplicati dal 1970 al 2010 malgrado la crisi. “Bisogna trovare nuovi modi per la redistribuzione della ricchezza nazionale - aggiunge l'esponente della Cgil -, il ruolo dello Stato dovrebbe essere questo. Il capitalismo nella sua forma attuale - invece - vive di troppa finanza e poca economia reale, la politica della ricchezza finanziaria ha generato un aumento della povertà, troppe merci e poco lavoro”.

“La concentrazione della ricchezza finanziaria - ha spiegato Barbi - scarica il peso sugli Stati che diventano 'ammortizzatori' del mondo speculativo”, un processo che alla fine ritroviamo anche nell'impresa dove il controllo sociale risulta indebolito dalla decentrazione. "Cartolarizzazioni e derivati - aggiunge il dirigente della Cgil - hanno sottratto immensa liquidità agli investimenti produttivi e nella tragedia dell'autoregolamentazione dei tassi di prestiti siamo al paradosso di società per azioni che giudicano Stati evidentemente non più sovrani”.

Baranes (Sbilanciamoci), austerità non è risposta alla crisi
“Oggi, in Europa, il problema è nei pareggi di bilancio e nel debito pubblico, ma ci siamo dimenticati di quello che combina il sistema finanziario privato. Il 99% del denaro che circola nei mercati finanziari del mondo non serve ad alimentare alcuna esportazione o importazione di beni, ma serve solo a far girare altri soldi. È denaro che insegue denaro”. Lo ha detto Andrea Baranes, di Sbilanciamoci, nel corso del convegno. “E’ un sistema orrendamente inefficiente e inefficace. Non a caso è stato coniato il termine Credit crunch: non c’è accesso al credito né per le imprese, né per le famiglie”, spiega Baranes.

“Abbiamo una gigantesca montagna di denaro alla disperata ricerca di profitto, e dall’altra parte una montagna di bisogni insoddisfatti: questo vuol dire che domanda e offerta non si incontrano, che quindi in realtà non c’è nessun mercato; questo è il sistema speculativo finanziario odierno”. Un sistema, ricorda Baranes, che “impatta” direttamente sulle nostre vite: nel 2008, a causa della crisi finanziaria che spinse la speculazione a trasferire intere linee di investimento, raddoppiò il prezzo di grano e mais. L’Onu stimò cento milioni di esseri umani denutriti a causa della speculazione. “L’unica risposta alla crisi è stata l’austerità e pompare liquidità in quello stesso sistema finanziario che ha creato la crisi – prosegue Baranes -. La finanza è ripartita come se nulla fosse successo. Mentre l’economia è rimasta al palo. Ad esempio ora la Bce riparte a pieno ritmo con le cartolarizzazioni. Si pompa liquidità il più possibile nel sistema finanziario privato, e poi si fanno le pulci ai debiti pubblici. La Bce conduce gli stress test sul sistema bancario senza considerare l’ipotesi della bolla speculativa, o della deflazione: eppure già sette paesi europei sono già in deflazione”.

Quello che “fa arrabbiare – prosegue l’economista – è che sappiamo esattamente cosa andrebbe fatto: ad esempio una tassa sulle transazioni finanziarie, oppure la separazione tra banche di risparmio e investimento. Invece, in Italia, si applica la filosofia di fondo che lo Stato debba solo mettere il privato nelle migliori condizioni per operare. Ma la ripresa chi la traina? Solo gli investimenti esteri, così da aprire la svendita dell’Italia ai capitali esteri, come se solo loro ci dovessero salvare”. Ma “bisogna ribaltare l’orizzonte culturale – ha concluso Baranes -: la finanza deve tornare ad essere una parte della soluzione, non una parte del problema”.

Banche: Cicala, 40mila posti persi da inizio crisi
“I lavoratori del settore del credito in Italia erano 338mila all'inizio della crisi, saranno meno di 300mila a fine 2015 in base ad accordi già fatti. In parte, questo dipende dall'evoluzione tecnologica, ma per altri versi accade perché il settore ha rinunciato al suo ruolo di banca commerciale. La sensazione è che le banche stiano aspettando che passi la bufera riducendo gli investimenti”. Così Nicola Cicala, economista, richiamando il 'Manifesto della buona finanza', nel suo intervento.

Un pacchetto, ricorda Cicala, che fa parte anche del Piano del Lavoro della Cgil nel quale si propone la separazione tra le banche commerciali e le banche private. “Un sistema sano - osserva l'economista - dovrebbe incoraggiare le imprese sane, invece oggi assistiamo all'interruzione e al malfunzionamento del circuito del credito”, anche perché - e questo è un paradosso - le regole attuali non incoraggiano le imprese sane. “Il sistema 'Basilea 3' penalizza gli istituti che fanno credito rispetto a chi punta sulla finanza - sottolinea l'economista - ma del resto non poteva essere altrimenti, se la commissione che ha scritto quel trattato era composta di 33 membri su 44 nominati dai big della finanza”.

Finanza: Fantacci (Bocconi), riforma indispensabile
“La riforma della finanza invocata da più parti all'inizio della crisi ora sembra passata di moda. Ma oggi un'altra finanza non soltanto è possibile, è indispensabile”. A dirlo è Luca Fantacci, docente di Scenari economici alla Bocconi. “Se la riforma strutturale - osserva il docente - è quella che elimina posizioni di rendita a favore del libero mercato, allora la prima forma di rendita da eliminare è proprio quella finanziaria. Il fatto che non si parta da lì a me sembra paradossale”.

Tuttavia, sottolinea Fantacci, non è corretto individuare la finanza speculativa con accezioni soltanto negative. “È una parte del sistema - chiarisce il docente - che svolge una funzione vitale, l'economia reale non può farne a meno. La sua funzione è cruciale nel trasformare il risparmio in investimenti, un processo che alla fine crea ricchezza collettiva: domani non ci sarà risparmio se oggi non investiamo”. Insomma, “anche senza finanza non c'è futuro”. Il suo ragionamento spazia fino alle origini della crisi e alla attuale necessità, sollevata da più parti, di aumentare la domanda, strada che però passa per l'indebitamento, pubblico o privato che sia. Che forma prenderà questo debito? L'unica certezza, osserva l'esperto, è che “la forma attuale è inadeguata rispetto ai compiti vitali che deve svolgere”, col risultato di “disuguaglianza crescente dei redditi” e di una “finanza che detta legge sulle politiche dei governi. E non dipende solo dalla crisi: la finanza manca il suo compito già quando presta indiscriminatamente a tutti”.

“La cosiddetta 'crisi dei debiti sovrani' - sottolinea ancora Fantacci - è in realtà una crisi dei debiti esteri che è nata con l'euro, è questa la faglia che rischia di spaccare il Continente. È vero, infatti, che la moneta unica all'inizio ha messo al riparo dal rischio di cambio e questo fatto comodo a tutti, compresi i facoltosi investitori della Germania”, ma oggi le conseguenze sono ben note a tutti. Da qui la sua proposta anticrisi di una 'doppia camera di compensazione'. Da una parte a livello centrale sugli interessi che devono diventare simmetrici e “gravare sia sui debitori sia sui creditori”; dall'altra, una camera di compensazione fra imprese per farsi credito a vicenda anziché rivolgersi solo alle banche. Non come fanno oggi, smettendo semplicemente di pagarsi a vicenda. “L'ipotesi - conlcude Fantacci - diventa ancora più interessante se in questo meccanismo di crediti di compensazione entrano la Pubblica amministrazione e in ultimo anche i lavoratori tramite accordi sulla contrattazione aziendale”.

Minenna: la Germania compete in condizioni di vantaggio
Nel suo intervento al convegno, Marcello Minenna, docente di finanza matematica all’Università Bocconi, ha sottolineato il “processo di germanizzazione dei tassi”: per entrare in Europa i paesi membri hanno dovuto uniformarsi al livello dei tassi tedeschi. Si sono create nell’Eurozona una serie di “valute ombra” e, in questa situazione, chi ha lo spread più basso, ossia la Germania, compete in condizioni avvantaggiate rispetto agli altri. Il “vantaggio commerciale dell’economia tedesca – ha spiegato Minenna – si basa su elementi di supporto forniti dalle regole europee. Quando siamo entrati nell’euro il Pil italiano era due terzi della Germania. Le previsioni al 2018 dicono che il nostro Pil sarà un mezzo di quello tedesco: c’è chi cresce e chi scende. Paesi come Grecia, Portogallo, Irlanda, Spagna e la stessa Italia hanno un’inflazione più alta rispetto alla Germania. Con uno spread medio del 5%, il costo per mantenere un’industria manifatturiera diventa più alto, anzi insostenibile”.

Minenna ha puntato il dito anche su alcune storture del sistema bancario europeo, come ad esempio il fatto che la Bundesbank tedesca riceva dai Pigs 4 mld l’anno, di cui 1 dall’Italia: “è incredibile, abbiamo i trasferimenti al contrario, dai paesi deboli ai paesi forti”, ha detto l’economista. Per uscire dalla crisi, secondo Minenna, bisogna ispirarsi alla politica monetaria della Fed statunitense, che ha spostato il debito a 40 anni, “perché il tempo con l’inflazione si mangia il debito”, e possiede in attivo 4.000 miliardi di titoli infruttiferi. Anche la Bce dovrebbe essere messa in condizione di operare analogamente: “Deve comprare debito pubblico, come la Fed. Deve rifinanziare il debito pubblico, e deve intervenire per portare lo spread a zero, altrimenti il gap tra le industrie manifatturiere europee resta incolmabile”.

Camusso: un modello sociale per l’Europa
“Nonostante i tanti buoni propositi che attraversarono il dibattito politico ed economico nel 2007-2008, poi ha prevalso il lasciare andare, il lasciare decidere al mondo della finanza le regole del gioco. Ma per noi non va bene”. Lo ha detto Susanna Camusso concludendo i lavori della giornata. Per il segretario generale della Cgil, invece, “si deve intervenire, a partire dall’Europa. Nel dibattito pubblico raramente si dice che l’Europa è il problema. Oggi l’Europa è un problema per il mondo, e la discussione non può restare nel tema della flessibilità dei trattati esistenti, ma bisogna uscirne. È indubbio che il tema sono i trattati europei, insieme al trattato di libero scambio tra l'Unione Europea e gli Usa (TTIP, ndr), di cui si parla pochissimo” e al cui riguardo – ammonisce Camusso – rischia di passare l’idea che si possa dare “piena libertà d’azione alle multinazionali a prescindere dagli Stati in cui operano”, chiudendo così il cerchio dell’indipendenza economica e finanziaria dalla politica e dagli Stati sovrani.

Secondo Camusso “la crisi europea va affrontata con radicalità”. E bisogna rispondere al “dilemma” se occorre accelerare o rallentare l’integrazione tra i Paesi della Ue. “Se, come noi vorremmo, ci si propone la rapida crescita dell’integrazione, bisogna scegliere quale modello sociale proporre all’Europa. Il modello finanziario ed economico non è indifferente alla scelta del modello sociale, che dipende da quale idea hai di redistribuzione della ricchezza, e da quali regole imponi, o no, alla finanza, al debito pubblico, ai rapporti commerciali transnazionali”.

Per il segretario generale della Cgil diventa quindi fondamentale riproporre il tema della redistribuzione dai profitti al bene comune, perché “la logica dell’accumulazione dei profitti non può più essere l’unica per far ripartire i Paesi”. Inoltre il binomio riduzione del debito pubblico/investimenti dovrebbe essere attuato – secondo Camusso - in una politica finanziaria europea: “Il debito accumulato dai Paesi venga monetizzato, passato al mercato secondario ecc., le soluzioni tecniche sono varie – ricorda Camusso – , ma la strada dovrebbe essere quella: liberare i Paesi dall’impossibilità di intervenire sul debito”.

Le operazioni tradizionali (entro il recinto dell’austerità) di riduzione della spesa pubblica e del debito, e poi di alleggerimento fiscale, possibilmente sul costo del lavoro, non “risolvono il problema della ripresa”. Anche l’idea di lasciare gli investimenti nel terreno privato “non è più sufficiente”; né “il buon finanziamento da parte delle banche”, che “certo è essenziale”, prosegue Camusso, ma non sufficiente “se non decidi di programmare i campi in cui investi nel Paese”.

Infine “in quale politica industriale si muove l’Europa: è l’ulteriore elemento che dev’essere oggetto di riflessione collettiva – conclude Camusso –. Il modello industriale e di sviluppo che abbiamo conosciuto, basato sull’incremento progressivo della produzione e delle vendite, non può essere il modello del futuro. E questo cambia le politiche del lavoro”. Se si avanza verso un modello futuro di servizi alla persona più che di beni materiali, è fondamentale che la quota pubblica di tutela delle persone cresca, e che questo settore non sia lasciato alla privatizzazione. “Sarebbe drammatico – conclude Camusso - immaginare che il sistema liberista si appropriasse anche dei modelli futuri, trasformando la sfera delle tutele nella sfera della disuguaglianza”.