“Quello della calciatrice è un sacrificio, lo facciamo più che altro per passione viste le difficoltà. Dopo vent'anni di carriera, quando smetterò, non avrò la pensione dopo una vita dedicata al calcio. Mi ritroverò senza niente, a 35 anni”. Chiara Marchitelli, portiere del Brescia Calcio e della nazionale femminile, sintetizza così le difficoltà delle calciatrici nel nostro paese.

In questo sport l'Italia è forte per i risultati, non altrettanto per le norme che regolano il settore. Se n'è parlato nel dibattito dedicato alle pari opportunità durante le Giornate del lavoro della Cgil a Lecce. L'esempio dei due Gabbiadini, Manolo e Melania, è illuminante: fanno lo stesso mestiere, giocano entrambi in serie A. Ma dal punto di vista pratico hanno diritti completamente differenti. Lei non ha alcun diritto in termini di sanità, assicurazioni, previdenza. E dal punto di vista retributivo c'è addirittura un tetto massimo, essendo le donne considerate dilettanti.

Un passo avanti potrebbe arrivare grazie alla proposta di legge di Laura Coccia, deputata del Pd Commissione Cultura della Camera, grande atleta paralimpica dell'atletica leggera: “Non esiste in Italia una legge che vieti alle donne sportive di essere professioniste – precisa –, la scelta è lasciata alle singole federazioni. Il problema è che le federazioni non hanno mai scelto di aprire alle donne. La proposta di legge è un passo avanti importantissimo, insieme a quella avanzata dalla vicepresidente del Senato Valeria Fedeli”. La legge è stata incardinata in Commissione e quindi se ne discuterà a breve. “Non risolverà tutti i problemi dei diritti nello sport – prosegue la deputata Dem –, ma sicuramente aiuterà ad affrontarli. Un esempio? L'obbligo per le società di calcio professionistiche di avere una under 12 femminile".

Si potrebbe guardare a Francia e Germania, che in tema di diritti per le calciatrici hanno una situazione molto più rosea come fa notare Ilaria Pasqui, responsabile area legale del dipartimento dilettanti di Assocalciatori, ex attaccante in varie squadre anche negli Stati Uniti. Oggi è avvocato: “Tanto per cominciare, l'Italia non rispetta le raccomandazioni della Commissione europea per la parità di genere. Occorre consentire alle società di calcio femminile di reperire le risorse direttamente dalle federazioni. C'è un discorso legato all'accesso alla pratica sportiva che è ancora troppo limitato; il tema della rappresentanza quasi solo maschile; e poi il grande ostacolo legato alla legge 91 che delega alle federazioni la possibilità di allargare il professionismo al femminile. È un problema è in termini di tutele sanitarie, assicurative e previdenziale, basti pensare alla maternità”.

In serie A c'è chi sta provando a invertire la rotta. È il caso di Firenze, come spiega Sandro Mencucci, presidente della Fiorentina Calcio femminile, l'unica società della massima serie che ha voluto aprire alle donne. “Dal 2002 – ricorda – sono stato amministratore delegato della Fiorentina maschile per cui conosco bene le diversità enormi di accesso alle risorse. Abbiamo visto quante donne praticano il calcio in Italia e posso dire che oggi il calcio non è più uno sport maschile, quindi abbiamo ritenuto di impegnarci mettendo in campo la nostra visibilità, e gestiamo il settore femminile come quello dei maschi. Oggi, sembrerà strano, ma abbiamo più semplicità a trovare sponsor per la squadra delle donne”.