Il viaggio dello Spi Cgil "Un treno per non dimenticare" è arrivato nei campi di sterminio di Auschwitz e Birkenau. Sul treno sono partiti circa 600 anziani e pensionati e oltre 150 giovani dell’Udu e della Rete degli studenti medi. Un’iniziativa lanciata dal sindacato dei pensionati della Cgil, e voluta dal segretario generale Carla Cantone. Di seguito il racconto dell'esperienza:

Lo hai visto centinaia di volte: film, documentari, fotografie, ma quando sei lì, davanti al cancello di Auschwitz, sotto la scritta di ferro che recita beffardamente "arbeit macht frei" il cuore sobbalza e non puoi fare a meno di provare un senso di angoscia e disorientamento. Magari te lo hanno raccontato, ma non è lo stesso, come per ogni esperienza.

Perché Auschwitz è il simbolo dello sterminio, è il luogo che incarna il disumano progetto nazista di purificazione della razza. È la materializzazione di un incubo. Visitare il campo di Auschwitz vuol dire toccare con mano l'orrore, il disprezzo per la vita, la cupa ferocia dell'uomo sull'uomo. Significa confrontarsi con l'annullamento dell'essere umano. Ma significa anche chiedersi come e perché tutto questo possa essere successo; interrogarsi sulle responsabilità, individuali e collettive, di un simile disastro. Siamo davvero certi che tutto ciò non possa accadere di nuovo?
 
Camminando tra i "block", visitando il museo, entrando nella camera a gas e nel crematorio si rimane attoniti, sgomenti. E ci rende conto che aveva ragione Elie Wiesel quando diceva che se "tacere è vietato, parlare è impossibile". Perché ogni parola appare improvvisamente banale, priva di senso, fuori luogo. Allora resti muto, cercando di ricacciare indietro quel groppo che ti sale in gola. Ma non ce la fai: è troppo potente l'impatto emotivo che ti travolge. E così, magari, alla fine, ti accorgi che stai piangendo. Da solo. In silenzio.

Ma Auschwitz non bastava. Bisognava rendere
più efficiente la macchina. Così nasce Auschwitz 2, ovvero Birkenau. Ed è qui, a Brzezinka che in polacco vuol dire campo di betulle, che fai i conti con la "scientificità" del progetto di sterminio nazista: 170 ettari, centinaia di baracche in grado di ospitare anche 130 mila prigionieri, e con le sue quattro camere a gas di uccidere migliaia di persone ogni giorno. E così per oltre tre anni.

Lungo la "bahnrampe", il binario che dal "portone della morte" conduceva i treni direttamente nel cuore del "vernichtunglager", provi a immaginare: i pianti dei bambini, le grida delle madri, le suppliche dei vecchi. Il ringhiare dei cani, gli ordini strillati dagli aguzzini nazisti. L'odore della paura, il terrore negli occhi di chi non capisce. E poi il gelo che taglia la faccia affrontato con addosso soltanto un "pigiama" a righe di cotone. E il caldo che soffoca, la pioggia che inzuppa. La fatica, le malattie, il dolore, la fame. Ecco, provi a immaginare tutto questo. Ma provi soltanto. Perché l'angoscia e lo sbigottimento ti schiacciano. Provi a comprendere una tale condizione, ma ti rendi conto che esiste un limite che non riuscirai mai a valicare.

Oggi nel "campo delle betulle" le camere a gas e i crematori non ci sono più, fatti saltare dalle Ss in fuga dall'Armata rossa, per occultare le prove. Ma in questo grande cimitero senza tombe c'è la storia dell'annullamento e della negazione dell'essere umano. E soprattutto c'è la memoria di coloro che "sono passati per il camino". Ricordiamolo per sempre.

Dal sito Un treno per non dimenticare