"Abbiamo denunciato da tempo che il sistema degli appalti è la principale fabbrica della corruzione e della penetrazione illegale nell'economia, stimata in oltre 70 miliardi. La nostra iniziativa, la cui motivazione esce rafforzata dagli ultimi scandali, è per un sistema degli appalti trasparenti, ispirato a regole di controllo e qualità". Comincia dall'attualità, legata alle indagini della magistratura sulle grandi opere, l'intervista a Franco Martini, segretario confederale della Cgil, ai microfoni di Italia Parla su Radioarticolo1.

"La cosa strabiliante è che stiamo assistendo alla proiezione di un film in quarta visione, perché tutto ciò che la cronaca denuncia è espressione di un fenomeno noto da almeno vent'anni. Il problema non è il sapere ciò che accade, ma perchè la politica ha tardato tanto a intervenire, mantenendo un sistema ispirato all'obiettivo di fare degli appalti lo strumento prevalente per l'arricchimento personale o di lobbies, come avveniva nella prima Repubblica. Noi stiamo provando a recuperare il terreno perduto con una proposta di legge d'iniziativa popolare, parallela all'azione unitaria con Cisl e Uil, per chiedere che l'Italia, Stato membro dell'Ue, recepisca le direttive comunitarie in coerenza con gli obiettivi che stiamo sostenendo", afferma il dirigente sindacale.

"Per la nostra campagna nazionale, ci siamo dati un obiettivo impegnativo: la raccolta di 300.000 firme. Attualmente, siamo al giro di boa nella tabella di marcia, e contiamo di raggiungere il traguardo entro aprile. È in corso un forte impegno di tutte le strutture per spiegare le ragioni di questa iniziativa oltre il perimetro degli addetti ai lavori, dimostrando che quando parliamo di appalti non ci riferiamo solo ai cantieri edili o ai servizi delle pulizie delle mense, delle strutture scolastiche o della logistica dei trasporti, ma a tutti i settori, dal manifatturiero al terziario, alla pubblica amministrazione, attraversati da un fenomeno che è espressione di un processo continuo di esternalizzazione di tante fasi delle attività produttive. Quando parliamo di appalti parliamo ovviamente anche di istituzioni, quindi cerchiamo di coinvolgere anche i rappresentanti degli enti locali e regionali, che dovrebbero promuovere norme in materia di appalti coerenti con gli obiettivi che sosteniamo. E il discorso include poi le associazioni d'impresa, che in una politica trasparente degli appalti vedono la possibilità di superare gli effetti dumping della concorrenza sleale tra imprese: nel caso dell'impresa cooperativa, pensiamo alle tante cooperative spurie o false, che concorrono alle gare non rispettando regole e contratti", prosegue Martini.

"Sempre a proposito di appalti, ci sono da considerare anche i danni che farà il Jobs act, in termini di diritti e dignità del lavoro. Il contratto a tutele crescenti, proprio nella ratio del provvedimento, nel giro di qualche cambio di appalti, rischia di azzerare interamente i diritti che i lavoratori di questi settori hanno acquisito nel corso degli anni. Ad esempio, una conquista storica nel sistema degli appalti è stata la cosiddetta clausola sociale: quando un'impresa subentra in un appalto gestito da un'altra impresa, ancora è obbligata a prendersi a carico gli addetti dell'impresa precedente, non in qualità di nuovi assunti, ma come dipendenti che in continuità proseguono la loro carriera lavorativa. È del tutto evidente che se offriamo a un'impresa la possibilità di godere di uno sconto di 8.000 euro l'anno per ogni dipendente nuovo assunto, è ovvio che tutte le imprese si orienteranno a considerare questi lavoratori come nuovi assunti, e non in continuità con la carriera precedente. Abbiamo denunciato questo aspetto ancora prima dell'attuazione della riforma del mercato del lavoro, senza ottenere risposta: l'articolo 7 del Jobs act considera l'anzianità pregressa solo ai fini del calcolo dell'ammontare della sanzione che le imprese devono pagare per il licenziamento, cioè l'anzianità vale per decidere quanto costa un licenziamento. Dunque, siamo a uno stravolgimento della natura della clausola sociale che, paradossalmente, da norma di tutela dei diritti rischia di diventare un fattore dumping nella concorrenza tra le imprese. Questo è molto grave, ed è un punto centrale della nostra iniziativa sindacale", spiega ancora l'esponente della Cgil.

"Poi c'è la nostra proposta di un nuovo Statuto dei lavoratori, che non intende assolutamente guardare al passato, per tornare alla legge 300/1970. Siamo sempre stati consapevoli che quella importante conquista non garantiva tutto il mondo del lavoro: era una legge espressione dell'epoca in cui è stata varata, poi nel corso degli anni il mondo del lavoro è cambiato profondamente, si è molto diffusa la precarietà e tipologie di lavoro assai diverse da quelle di 40 anni fa. Quindi, è chiaro che l'idea di un nuovo Statuto guarda avanti, è una proposta inclusiva, che vuole mettere dentro il sistema delle tutele gran parte dei mondi fino ad oggi esclusi. Questo lo ribadisco, perché siamo spesso criticati - innanzitutto dal Presidente del Consiglio -, di voler difendere sempre gli stessi. Il paradosso è che il provvedimento che il Governo ha varato ribadisce proprio tale impostazione che ci viene addebitata, perché il Jobs act conferma i diritti a chi già ce li ha, come ad esempio l'articolo 18, e non li dà a quelli che non li avevano, salvo la maggiore facilità di licenziamento, che porterà nel tempo a togliere questo diritto a gran parte della platea. Invece, la proposta di un nuovo Statuto è immaginata da noi come un nuovo strumento di tutela che risponda all'esigenza di costruire una nuova civiltà del lavoro, in grado di rispondere al fabbisogno di tutele e diritti di un mondo del lavoro più vario. Stiamo operando con il coinvolgimento di tutti i settori dell'organizzazione, con il sostegno indispensabile dei giuristi e presto saremo in grado di presentare più nel dettaglio la nostra proposta", aggiunge Martini.

Infine, il segretario confederale ha toccato il tema dei rinnovi contrattuali, che interessano 9 milioni di lavoratori. "È una stagione inedita, per il fatto che dovremo misurarci con processi e problema del tutto nuovi, e sarà anche il principale banco di prova della capacità del sindacato di cambiare. Siamo usciti dall'ultimo congresso con la strategia dell'inclusione, e quindi vogliamo una stagione contrattuale in grado di fare in modo che gli strumenti della contrattazione, a partire dal contratto nazionale, siano in grado di tutelare tutti coloro che lavorano con ogni tipologìa e modalità. La prima difficoltà è legata all'andamento della nostra economia, che se non riparte è chiaro che i rinnovi ne soffriranno. La Cgil, assieme alle altre confederazioni, continuerà a denunciare il fatto che il governo sta pensando a nuove riforme senza pensare all'economia: non si può concentrare l'attenzione su come licenziare più facilmente il dipendente di un'impresa, senza prima porsi il problema di quale prospettiva abbia il nostro apparato produttivo. Dunque, la questione non è rendere più facile il licenziamento, ma mettere in campo progetti di sviluppo, e quindi politiche industriali, piani di sostegno ai servizi pubblici e alla qualificazione del terziario, investimenti credibili sui punti di forza del Paese, come la cultura. Se manca tutto questo, è chiaro che manca il carburante per la contrattazione. Perciò, la nostra iniziativa a sostegno delle politiche di sviluppo sarà parallela a quella per la contrattazione, in cui faremo azioni di contrasto agli effetti più dannosi del Jobs act, oltre alla necessità di pensare a un nuovo modello contrattuale, in grado di riordinare gli assetti in ragione dei mutamenti avvenuti in campo economico e produttivo".