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È forse una delle più ardue sfide culturali del nostro paese. Una battaglia che richiede grande lungimiranza, strumenti adeguati, valutazione attenta del contesto. L’alfabetizzazione tecnologica degli anziani in Italia, almeno quella promossa dalle istituzioni, procede a passo così lento che quasi si stenta a credere che sia in atto. Il vero contributo sembrano offrirlo invece l’associazionismo e il volontariato in generale, in stretta collaborazione anche con i sindacati. Accanto viaggia anche il “fai da te”, alimentato dai rapporti “intergenerazionali” figli-genitori, nipoti-nonni, con risultati però non monitorabili.
Sono miriadi le iniziative di formazione che proliferano nel nostro paese, a macchia di leopardo, per combattere l’analfabetismo digitale della terza età, uno dei tre analfabetismi censiti dall’Ocse per descrivere chi oggi è a rischio emarginazione per mancanza di competenze. Su questo terreno l’Auser è attiva da anni, anche con le università popolari, e nei giorni scorsi ha rilanciato il tema a Genova in occasione della sesta edizione del convegno “La Città che apprende”, proprio nell’anno dedicato all’invecchiamento attivo. Uno dei dati cruciali da cui ha preso il via il dibattito è quello che vede la televisione quale principale canale di informazione per l’84 per cento dei cittadini italiani e uno spazio importante per la formazione dell’opinione pubblica, come sottolinea l’ultima indagine Demos-Coop dedicata all’informazione.
Oltre un quarto di chi ascolta la tv non si informa in alcun altro modo. Si tratta soprattutto di donne, anziani, pensionati, con istruzione e livello sociale medio-basso. Trascorrono oltre quattro ore al giorno davanti alla televisione, ascoltano i tg, seguono i programmi pomeridiani. Cambiano le percentuali se si parla invece di nuove tecnologie, internet e computer. Un’ultima indagine proprio dell’Auser sulla condizione sociale degli over 60, con elaborazione di dati Istat, ha evidenziato che tra il 2001 e il 2010 sono aumentati gli anziani che utilizzano il computer, con un incremento di circa dieci punti percentuali per la fascia 65-74, ma di soli due punti per gli over 75. “Si tratta di dati comunque interessanti – ha sottolineato l’organizzazione – in quanto l’utilizzo delle nuove tecnologie da parte degli anziani può permettere loro una maggiore inclusione sociale, maggiore capacità di informarsi e migliori condizioni di vita. Mentre non vi è dubbio che informarsi attraverso un solo mezzo, la tv, rischia di indebolire la propria esperienza di vita e di limitare la possibilità di partecipare ai processi democratici”.
L’accesso alla rete, ricorda l’Auser, è un diritto di cittadinanza che si coniuga con il diritto al sapere, alla libertà d’informazione, alla libera partecipazione sociale di una fetta imponente di popolazione, quella degli over 60, che conta 12 milioni di individui e che, ricorda Patrizia Mattioli, coordinatore nazionale delle università popolari di Auser e del settore educazione degli adulti, “è in continua crescita, in larga parte in buona salute e attiva, e deve entrare a pieno titolo nei processi di cambiamento sociali e politici”.
La rivoluzione epocale prodotta dall’avvento del web, ma anche da tutti gli altri strumenti digitali ad esso collegato, compresi social network o anche solo l’uso della posta elettronica, rischia infatti di diventare discriminatoria nei confronti di chi non è riuscito a stare al passo di questo cambiamento, producendo una penalizzazione sul fronte delle opportunità di socializzazione, delle occasioni di impiego, dell’informazione a largo raggio, dello svago interattivo, ma anche delle agevolazioni nella vita quotidiana: saper fare un piccolo acquisto online, una prenotazione sanitaria su web o anche solo pagare una bolletta senza alzarsi dalla poltrona può rendere meno faticosa l’esistenza per chi è afflitto, ad esempio, da una qualsiasi disabilità senile.
L’Istat rileva che in Italia i giovani nativi digitali rientrano nelle medie europee, ma il 50 per cento degli adulti over 40 non possiede un computer, né sa usare la posta elettronica. Tale dato si accentua con il progredire dell’età: tra i 60 e i 64 anni solo il 27 per cento sa usare il computer a livello base, tra i 65 e i 74 il 12 per cento, per poi scendere al 3 per cento negli over 75. “Il dato degli analfabeti tecnologici è molto alto – sottolinea Patrizia Mattioli –, specie se paragonato al resto d’Europa e agli Stati Uniti. Chi non conosce il nuovo alfabeto della vita quotidiana rischia in pochi anni (cinque, dieci al massimo, dicono gli esperti) di essere espulso non solo dall’universo del sapere ma anche dall’accesso ormai sempre più online delle funzioni di ogni giorno, anche le più banali, che tempo prima potevano essere svolte uscendo di casa e che tra qualche anno saranno possibili solo con un click di mouse”.
In un’ottica di emancipazione digitale della terza età sembra muoversi l’Unione Europea, come pure il governo Monti. Va in questo senso l’approvazione dell’Agenda digitale, che prevede il potenziamento progressivo della velocità digitale e la digitalizzazione di molti servizi della pubblica amministrazione, dalle scuole ai tribunali, agli ospedali, nonché la recente proposta relativa ai pagamenti elettronici per il commercio, importante anche per combattere l’attuale insostenibile evasione fiscale.
L’inclusione tecnologica delle fasce anziane, e meno istruite, della popolazione italiana si rivelerebbe importante anche nell’ottica di una visione più critica della società, dei personaggi che la governano e dei fatti che vi accadono; un senso critico, sottolinea l’Auser, che la tv spesso azzera, proponendo una visione preconfezionata, e non di rado falsata, della realtà e che presuppone, peraltro, un atteggiamento passivo degli utenti che ne fruiscono. Non a caso la scarsa credibilità della tv, secondo un’indagine del “XXII Osservatorio Demos-Coop”, dedicata all’informazione e realizzata nel dicembre 2011, è considerata uno dei fattori che in Italia spingono il 39 per cento delle persone a utilizzare ogni giorno la rete per informarsi attraverso molteplici canali, come blog, portali, streaming tv, radio, agenzie, rassegne stampa e testate varie. Internet, ritenuto più libero e quindi più credibile, è l’unico media a incrementare la sua credibilità (dal 24,8 per cento del 2007 al 38,7 del 2011), a fronte di una flessione sia della tv (87 per cento nel 2007, 83,6 nel 2011), sia della radio (41,1 nel 2007, 37,8 nel 2011) e dei quotidiani (30,2 nel 2007, 27,9 nel 2011).
È indubbio che il processo di alfabetizzazione tecnologica sia complesso e non scontato e necessiti di un lavoro multidirezionale in grado di fornire, come ha sottolineato nel suo programma del 2009 la Commissione Europea, “capacità non solo di accedere a tutti i media – internet, giornali, tv, radio, musica registrata, stampa –, ma anche capacità di comprendere e valutare i contenuti di tali media e di comunicare in una varietà di contesti”. L’Ue sottolinea dunque il rischio che, senza un’adeguata alfabetizzazione, i cittadini europei, giovani e meno giovani, perdano un’opportunità di sviluppo personale, economico e culturale. L’acquisizione di competenza nell’utilizzo dei media richiede che la persona, oltre ad avere le capacità per accedere ai nuovi media, sia in grado di raffrontare, decodificare, scegliere tra i miliardi di messaggi che martellano la nostra società.
E ciò è possibile a condizione che il cittadino possieda un adeguato livello di conoscenze generali e qualche competenza in più.
Per questo occorrono programmi e strategie mirati e capillari per le fasce di popolazione anziana. “Oggi l’Unesco – ricorda Mattioli – definisce l’alfabetismo funzionale non più soltanto come capacità di leggere e scrivere ma come ‘insieme di abilità relative all’alfabetismo’ che può essere applicato in modo funzionale ad attività tipiche della vita quotidiana in una società complessa come quella in cui viviamo. Infatti, le competenze alfabetiche funzionali evolvono in relazione alla complessità delle trasformazioni economiche e sociali di un paese”.
Nel nostro paese, dove l’allungamento delle aspettative di vita è esponenziale, le persone vivono almeno 50 anni dopo il completamento dei percorsi di istruzione e 15-20 dopo l’uscita dal lavoro (almeno, finché non entrerà a pieno regime la riforma Fornero). “In una società in rapido cambiamento come la nostra il deperimento delle competenze e la regressione dei livelli di conoscenze sono molto rapidi – osserva in conclusione Mattioli –. A meno che non si attuino programmi efficaci, e duraturi, di formazione e aggiornamento permanenti”.