Rebrab ha risposto. Questa volta rispettando i tempi. Sono state settimane tese quelle che hanno separato la lettera in cui il ministro Calenda aveva annunciato la messa in mora degli stabilimenti Aferpi e minacciato la rescissione del contratto dalla tanto attesa risposta del gruppo algerino.

La temuta rottura, almeno per il momento, non c'è stata. Issad Rebrab sembra abbia risposto in modo collaborativo, scongiurando lo scenario più temuto: rescissione del contratto e apertura di un contenzioso legale, che avrebbe messo fine ad ogni speranza per lo stabilimento piombinese. Ci vorrà tempo e altri incontri e tavoli tecnici, ma l'ipotesi più probabile è la riconferma per altri due anni del commissario Piero Nardi e il conseguente prolungamento degli effetti della legge Marzano.

Soluzione, questa, che metterebbe al riparo fino al 2019 gli oltre 2000 dipendenti dalla possibilità di licenziamento dopo il 30 giugno. Rebrab avrà così altri due anni per far partire il progetto Aferpi. Notizia positiva, visto che alternative concrete al momento non ce ne sono.

Ieri i sindacati sono stati convocati al ministero. Il ministro Calenda ha informato il tavolo su quanto contenuto nella lettera ricevuta da Cevital e ha fatto sapere che verrà inviata un'ulteriore lettera di risposta nella quale saranno confermati i punti già presenti nell'annuncio di messa in mora, richiedendo inoltre il piano operativo, il piano di business e relative partnership.

A Cevital - dichiarano i sindacati in una nota congiunta - verrà chiesto, pena l’avvio formale di messa in inadempienza procedurale, di mantenere un livello produttivo tale da poter confermare l’ammortizzatore sociale in essere. Da parte nostra abbiamo ribadito che un eventuale partner dovrà comunque garantire la produzione di acciaio a Piombino come previsto nell’accordo di programma. Il prossimo appuntamento sarà il 17 maggio, per proseguire i lavori nelle assemblee dei lavoratori tenute dalle segreterie nazionali per andare avanti in questa difficile situazione”.

Messi al sicuro i lavoratori, la risposta “positiva” permette di prolungare la vigilanza da parte del governo e tempo per trattare eventualmente con un altro socio, Jindal probabilmente, l'ingresso in partnership in Aferpi.

Jindal nei giorni scorsi sembra aver formalizzato l'interessamento per gli stabilimenti di Piombino con una lettera a Calenda, svincolandolo dall'esito della gara per Ilva, a cui l'industriale indiano partecipa in una cordata con Del Vecchio, Arvedi e Cassa depositi e prestiti, opposta al gruppo guidato da Arcelor Mittal. Se esiste un interesse di Jindal, è evidente che da parte sua non ci saranno mosse ulteriore sino all'esito della gara di Taranto.

Il ministro Calenda avrebbe in mente un ingresso della Jsw di Jindal in Aferpi, pur non escludendo altre possibilità, come quella ventilata nelle settimane scorse di British Steel. Nel caso della scelta del socio indiano, Jindal entrerebbe solo inizialmente in società con Rebrab, per guidare l'acciaieria e permettere al gruppo algerino di realizzare i progetti di logistica e agroindustriale, senza i quali non si garantirebbero i livelli occupazionali promessi alla firma del contratto.

Dal canto suo, Rebrab riesce così a rimanere agganciato all'affare Piombino, sperando di negoziare credito con la garanzia di Sace (società assicurativa per il commercio estero controllata da Cassa depositi e prestiti) e ottenendo del circolante vitale per la continuità produttiva, avendo come garanzia la Regione tramite la Fidi Toscana. Ma allo stesso tempo la risposta di Rebrab è fortemente critica nei confronti del sistema creditizio italiano, colpevole, secondo lui, di riporre scarsa fiducia nei progetti del gruppo Cevital, negandogli i finanziamenti.

Critiche giuste, certo, se non fosse che il progetto Aferpi, sin dalla sua nascita nel dicembre del 2014 ha avuto non pochi problemi, e agli occhi di molti è parso più volte improvvisato e senza una precisa progettazione. Il Sole 24 Ore qualche giorno fa ha lanciato un duro attacco alla gestione dell'intera vicenda, elencando le non poche criticità di questi anni. Tre sono stati gli amministratori persi in questi anni di gestione e l'azienda è adesso in mano a manager non molto esperti nel settore siderurgico. Nello stesso tempo la società tedesca a cui è stato affidato lo studio ingegneristico per i nuovi impianti sembra non sia stata pagata, gli esperti non ascoltati, banche per i finanziamenti non trovate e due dei tre laminatoi non attivi da mesi.

Sembra chiaro che andando avanti così l'azienda perderà sempre più quote di mercato, rischiando di uscirne in modo definitivo. Accuse forse eccessive, ma che danno da pensare. Soprattutto se ora si torna a parlare di commissario straordinario per i prossimi due anni e un probabile proseguimento di questa fase di stallo.