“La Cgil è contro ogni forma di costrizione della libertà della persona e della libera scelta e pertanto sostiene fortemente il diritto delle donne alla somministrazione consapevole”. Lo affermano in una nota la segretaria confederale della Cgil, Morena Piccinini, e la responsabile Pari opportunità dell’organizzazione sindacale, Serena Sorrentino, in merito al dibattito sulle modalità di assunzione della pillola abortiva Ru486.

“La ricerca e l’innovazione in campo medico - osservano le dirigenti sindacali - non possono essere strumentalizzate dalla necessità politica di legittimare uno ‘Stato Etico’ facendo ricadere il peso di tali scelte sulla salute ed i diritti delle donne”. In tal senso la sollecitazione del sottosegretario alla Salute, Eugenia Roccella, alle Regioni “affinché si preveda il ricovero forzato fino alla conclusione della procedura abortiva” rappresenta per la Cgil “non solo una imposizione ma produce anche delle diseconomie che aggravano i costi per i sistemi locali sanitari”.

Invece, secondo Piccinini e Sorrentino, “appare assolutamente condivisibile, legittima, nel pieno solco dei diritti costituzionali ed alle previsioni normative della legge 194, la decisione di alcune regioni di procedere alla somministrazione in day hospital, con un sistema di controlli, di valutazione medico-clinica e presa in carico che tenga conto della libertà di scelta, della tutela della salute della donna, dei sistemi organizzativi dei servizi sociosanitari territoriali. Sembra che - rilevano - non potendo impedire il diritto delle donne ad avvalersi di un trattamento sanitario, quale la RU486, si ostacola il suo utilizzo, intervenendo sulle modalità di somministrazione. Ma, come hanno ricordato anche Umberto Veronesi e Ignazio Marino, le modalità e la durata del ricovero sono questioni medico scientifiche”.

Per la Cgil, “voler invece costringere la donna che intende avvalersi della RU486, al solo ricovero ordinario e magari prolungato, rappresenta un tentativo di intimidire e impedire l’esercizio di un diritto, che oltretutto rischia di scaricare costi inutili sulla sanità pubblica. Non è accettabile - concludono Piccinini e Sorrentino - che un processo di innovazione in campo medico, di avanzamento rispetto alle pratiche abortive sinora praticate nel nostro paese, e che tiene conto della tutela della salute, sia utilizzato per produrre attacchi ideologici al diritto all’autodeterminazione delle donne”.