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Alle 16,37 di venerdì 12 dicembre 1969 un ordigno esplode nel salone centrale della Banca Nazionale dell’Agricoltura di Milano: muoiono 17 persone, 90 i feriti. Un’altra bomba, fortunatamente rimasta inesplosa, viene rinvenuta, sempre nel capoluogo lombardo, nella sede della Banca Commerciale Italiana. Ancora una manciata di minuti e le esplosioni non risparmiano la capitale. Tra le 16,55 e le 17,30 ne avvengono altre tre: una all’interno della Banca Nazionale del Lavoro di via San Basilio, altre due sull’Altare della patria di Piazza Venezia. Inizia così la strategia della tensione.
Le segreterie confederali di Cgil, Cisl e Uil esprimono con un comunicato unitario il loro sdegno.
Alla Camera dei deputati la seduta in corso viene interrotta e il presidente Sandro Pertini prende immediatamente posizione contro l’attentato affermando: “Onorevoli colleghi! Un vento di follia criminale si sta abbattendo sul nostro Paese e pare abbia quale obiettivo lo sconvolgimento della vita pacifica della nazione e lo scardinamento degli istituti democratici. I responsabili consumano i loro misfatti cinicamente disprezzando le vite umane. Noi, onorevoli colleghi, al di sopra di ogni divisione politica, con tutto l’animo nostro colmo di sdegno, di angoscia e di preoccupazione, condanniamo questi crimini, augurandoci che i colpevoli siano al più presto individuati e severamente puniti”. Dal canto suo, la direzione del Pci invita “tutte le organizzazioni e i militanti comunisti alla vigilanza e alla iniziativa politica unitaria”.
Dopo la strage di Piazza Fontana, in occasione dei funerali delle vittime, Cgil, Cisl e Uil di Milano decidono di proclamare lo sciopero generale. Una decisione che incide profondamente su quella giornata, con le forze del lavoro schierate a difesa della democrazia e contro l’eversione. Racconterà anni dopo, nel luglio 2009, Carlo Ghezzi – a lungo dirigente dei chimici Cgil lombardi, in seguito alla guida della Camera del lavoro milanese e componente della segretaria nazionale Cgil, oggi alla Fondazione Di Vittorio – a Giovanni Rispoli in una bella intervista per uno speciale di Rassegna Sindacale sull’Autunno caldo: “La nostra presenza ai funerali fu decisiva: la dimostrazione, confermata poi negli anni del terrorismo, che eravamo una grande forza nazionale, che la lotta per i diritti era una sola cosa con la difesa della democrazia”.
Non fu certamente una decisione facile. “La parola d’ordine, come per un riflesso condizionato, era inizialmente ‘vigilanza’ – prosegue Ghezzi –.Nella Camera del lavoro, nel Pci e nella sinistra c’era il timore di ulteriori provocazioni, l’idea che molti sostenevano era quella di limitarsi a presidiare le sedi. Ci fu una discussione aspra, il momento era molto confuso. Poi, quando anche la Uilm fece sapere che era per la partecipazione, la discussione finì. E con le tute blu in piazza Duomo s’impedì che la tragedia potesse essere strumentalizzata dalla ‘maggioranza silenziosa’, che allora stava nascendo”.
“Dov’ero il giorno della strage – continua Ghezzi –? Proprio lì, a Milano: l’azienda mi aveva mandato al Politecnico a prendere il patentino per l’uso dei gas tossici. Ricordo l’incredulità. E un episodio buffo, come spesso accade di fronte alle tragedie, alle tragedie vere. Stavo prendendo il treno per tornare a casa, quando vidi venirmi incontro un operaio che conoscevo, si chiamava Frattini, che gridava esaltato: ‘È stata una bomba, è stata una bomba’. Sembrava quasi contento; ma, com’è ovvio, il sentimento non era questo: semplicemente, per lui era finito un incubo. Si trattava di un operaio della ditta che aveva installato le caldaie nella Banca dell’Agricoltura. La notizia della bomba aveva tardato un po’, e lui era stato tutto il tempo con il terrore che fosse scoppiata una caldaia, che insomma il lavoro suo e dei suoi compagni fosse stato fatto male”.
Ilaria Romeo è responsabile dell’Archivio storico Cgil nazionale