“Erano decenni che non si vedevano manifestazioni come quelle di questi giorni”. Fatta salva “Palestina libera”, è la frase che più si sente ripetere nei cortei da chi non è più giovane e per i quali il ricordo di cortei oceanici risale all’invasione dell’Iraq o dell’Afghanistan. A guidarli, almeno idealmente, sono gli studenti, ma il contributo dei lavoratori è evidente.

A scendere in piazza è anche chi non lo faceva da tempo, oppure non lo aveva mai fatto, perché il vento che spira è fresco e offre speranze, ci consente di guardare in avanti, al futuro, con un’idea di cambiamento come di una necessità che mai era stata così impellente.

E poi c’è chi è davvero giovanissimo e ci parla, parla a noi adulti, come si sente nel podcast: “Siamo qui per manifestare contro il genocidio che sta avvenendo nella Striscia di Gaza – dicono Nicola e Davide, 13 anni -. Noi lo vediamo, i governi lo vedono ma fanno finta di niente, si girano dall’altra parte”. Sono molto informati ed è tutto merito della loro professoressa di italiano, parla in classe dell’attualità, vedono insieme i Tg. Giulia, 12 anni, pensa invece che a scuola se ne dovrebbe parlare di più e confessa che quando si affrontano questi temi si commuove. È alla sua prima manifestazione, come le altre voci che la accompagnano. Questo è il nostro futuro, se a questi giovani daremo lo spazio che spetta loro. 

Il genocidio dei palestinesi e gli arresti degli attivisti della Flotilla a opera dell’esercito israeliano hanno fornito il pretesto che però, non è solamente tale: una giovane liceale con un cartello al collo che citava i bambini palestinesi uccisi è arrivata alle lacrime nell’esprimere, a noi giornalisti che glielo chiedevamo, il senso della scritta. L’impressione è che come lei la gran parte dei manifestanti sia profondamente consapevole del motivo che li ha portati in piazza e che, quindi, il tempo dei riti vuoti sia finito.

Le minacce del ministro dei Trasporti (che si crede dell’Interno) Matteo Salvini non hanno suscitato la paura che, secondo chi le ha pronunciate, avrebbero dovuto suscitare. Il ministro, alla vigilia dello sciopero generale e della manifestazione, ha fatto sapere che chi avrebbe bloccato il Paese avrebbe pagato personalmente le conseguenze e che se fosse prevalsa arroganza, violenza e sopraffazione il governo avrebbe saputo come reagire. Un ministro della Repubblica che, come ha detto il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, “minaccia cittadini perbene che esercitano un diritto”.

Alla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, convinta che non vi sia alcun nesso tra lo sciopero generale e la sorte del popolo palestinese, hanno invece risposto le centinaia di migliaia di persone scese in piazza per ricordare che anche il nostro governo, insieme a tutta la comunità internazionale, in due anni non è stata in grado di dire basta al presidente israeliano, Benjamin Netanyahu, basta a un crudele genocidio perpetrato con armi che anche il nostro Paese commercia.