Avanti, popolo delle sdraio e dei mojito. L’8 e il 9 giugno, anziché votare per il lavoro, la dignità e la cittadinanza, Giorgia Meloni vi consiglia un bel bagno refrigerante. Perché esercitare un diritto costituzionale quando si può rosolare in pace sotto l’ombrellone, mentre il governo sorseggia prosecco nei palazzi romani e affossa, nel silenzio, l’ultima velleità di democrazia partecipata?

Sì, avete capito bene: la premier in carica, quella che ama recitare il rosario della sovranità popolare, ha lanciato un messaggio chiaro e sfacciato al suo popolo: disertate le urne. Non lo ha detto apertamente, certo. Ma come riporta Il Messaggero in un retroscena firmato da Franco Bechis, è stato diffuso nei ranghi parlamentari di Fratelli d’Italia un documento intitolato “Referendum, scegliamo l’astensione”. Più chiaro di così. Ordine dall’alto: sabotare la consultazione popolare, evitare il quorum, seppellire la partecipazione sotto una coltre di sabbia e mare.

Non è sola, però. Anche Forza Italia, per bocca del suo leader Antonio Tajani, ha fatto sapere che non parteciperà al voto sui referendum. Una linea condivisa nella maggioranza: non discutere nel merito, ma svuotare la democrazia di significato, neutralizzandone gli strumenti.

Cinque quesiti – quattro per ridare dignità e sicurezza al lavoro, uno per riconoscere la cittadinanza in tempi certi – diventano così non un’occasione di confronto, ma un nemico politico da affondare. Perché? Perché promossi dalla “sinistra”. Il merito non conta. Conta chi li propone. E quindi via di meme, di sarcasmo, di inviti alla fuga balneare. Una classe dirigente che non sa (o non vuole) confrontarsi nel merito, preferisce svuotare il campo. Cancellare le urne, letteralmente.

D’altro canto lo sappiamo da più di due anni, siamo governati da chi considera la partecipazione un fastidio, un ingombro, una perdita di tempo. Il diritto al voto – già dilaniato da decenni di disillusione, astensionismo e promesse tradite – viene ora sabotato da chi dovrebbe custodirlo. Altro che difensori della Costituzione. Questi sono i becchini della partecipazione popolare, gli affossatori seriali del quorum. Cancellare il dibattito, desertificare il confronto, rendere ogni consultazione una perdita di tempo: è questa la strategia. Silenzio e sabbia. Altro che Italia sovrana.

E tutto questo avviene a poche settimane dalle parole pronunciate dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella il 25 aprile: “Non possiamo arrenderci all’astensionismo”. Un appello alla partecipazione lanciato nel giorno simbolo della democrazia ritrovata. Parole ignorate, anzi contraddette nei fatti da chi oggi guida il Paese.

E guai a dire che si tratta di una fuga: no, ci tengono a dire che è “una scelta consapevole”. Il messaggio che arriva da Palazzo Chigi è piuttosto cristallino: se c’è il rischio che la gente voti contro la nostra visione del mondo – una visione fatta di precarietà eterna, di tre morti sul lavoro al giorno, di cittadinanza negata – allora meglio disertare, svuotare, banalizzare. Ridurre il voto a un imprevisto da evitare, un contrattempo da sventare con una vacanza last minute.

E allora no, noi non andremo al mare. O meglio: ci andremo, ma dopo aver votato. Dopo aver messo la nostra firma contro una politica che ci vuole muti, inerti, complici della nostra stessa esclusione. Votare l’8 e il 9 giugno non sarà solo un atto civile. Sarà un gesto di resistenza. Una piccola, enorme rivolta democratica.