Sono, quando si parla di scuola, generalmente trascurati. Eppure i Cpia – i Centri provinciali per l'istruzione degli adulti che dal 2014 hanno preso il posto dei Centri territoriali permanenti – svolgono un ruolo fondamentale nel nostro Paese. Una buona quota di chi li frequenta è composta da stranieri senza cittadinanza. È giusto dunque chiamarli in causa quando si parla del referendum per abbreviare da 10 a 5 anni la permanenza nel nostro Paese per ottenerne la cittadinanza.  Come è noto, si tratta di uno dei 5 quesiti proposti dalla Cgil e su cui si andrà a votare l’8 e 9 giugno.

I Cpia come laboratori di inclusione

Ai Cpia ci si iscrive per ottenere il titolo di studio del primo ciclo di istruzione e la certificazione che attesta l'acquisizione delle competenze di base connesse all'obbligo di istruzione o anche per conseguire un titolo che attesti il raggiungimento di un livello di conoscenza della lingua italiana non inferiore al livello A2 . In più, i centri possono anche offrire attività di ampliamento dell'offerta formativa e percorsi di garanzia delle competenze.

Lingua e istruzione in senso lato sono elementi essenziali di integrazione per tante persone che lavorano nel nostro Paese a cui però spesso manca un tassello chiave: quello della cittadinanza.

Davide Bosso conosce bene questi problemi, dirige infatti il Cpia di Asti: 13 sedi nella provincia e 3 mila iscritti ai corsi: “Le nazionalità presenti, oltre a quella italiana, sono tantissime, arriviamo quasi a 100. Nella nostra area geografica c’è tanta immigrazione albanese, macedone, rumena, marocchina, pakistana, bengalese. Persone che lavorano generalmente in agricoltura, nell’edilizia e in parte anche nell’industria”. Nella stragrande maggioranza dei casi non hanno la cittadinanza, ma un permesso di soggiorno.

Molti, racconta Bosso, sono all’inizio del loro progetto migratorio e con una grande voglia di integrarsi, di imparare lingua e cultura. Dimostrano cioè un interesse a rimanere in Italia.

Rispetto agli italiani “hanno una serie di incombenze pratiche, il lavoro, magari la cura dei figli, le scadenze quasi quotidiane legate ai permessi di soggiorno, ai documenti. Insomma, la frequenza ai corsi dei Cpia è sempre fortemente voluta, perché toglie tempo ed energie ad altri aspetti urgenti della propria vita”. Per questo, sottolinea il dirigente scolastico, “garantire loro un percorso con meno ostacoli per acquisire la cittadinanza italiana sarebbe importante, visto che le norme attuali sono molto restrittive”.

D’altra parte, nel silenzio quotidiano anche dell’informazione, i Cpia rappresentano un laboratorio quotidiano di inclusione sociale: “Un ambiente di apprendimento collaborativo, dove in una stessa classe convivono studenti di età ed etnie diverse, talvolta provenienti da aree di guerra dove quelle stesse etnie sono contrapposte – conclude Bosso –. E la nostra percezione è che laddove se ne dà l’occasione e ci si lavori con impegno, la possibilità di dialogo tra culture diverse esiste ed è forte”.

Scuola e cittadinanza

Quello dei Cpia è un caso emblematico, ma il tema della cittadinanza è molto sentito in tutto il mondo della conoscenza. Ed è per questo che la Flc Cgil se ne occupa con grande impegno: da qualche tempo sul sito dell’organizzazione sindacale c’è anche una sezione a esso dedicata. Rispetto al referendum, Manuela Calza, segretaria nazionale del sindacato della conoscenza della Cgil, parte facendo un po’ di chiarezza: il quesito “propone di dimezzare da 10 a 5 anni il periodo di residenza legale in Italia richiesto agli immigrati provenienti da Paesi extra Ue maggiorenni per richiedere la cittadinanza italiana, mantenendo il vincolo degli altri criteri previsti dalla legge, tra cui la conoscenza della lingua italiana, un reddito adeguato e documentato, l’assenza di motivi ostativi legati alla sicurezza”.

Occorre, dunque, “sgombrare il campo da un equivoco, alimentato ad arte da chi ha volontà e interesse a boicottare questo referendum, per cui il quesito rappresenterebbe una sorta di sanatoria dell’immigrazione clandestina. Nulla di tutto questo, la modifica interesserebbe direttamente circa 2 milioni e mezzo di persone residenti legalmente e da lungo tempo in Italia, dove lavorano, studiano, pagano regolarmente le tasse; persone che, pur integrate nel tessuto sociale e lavorativo, sono prive di piena cittadinanza e dei diritti civili e politici ad essa collegati”.

Proprio per questo, sottolinea, “l’esito positivo del referendum rappresenterebbe per tutto il Paese un punto di avanzamento e una conquista di umanità e di civiltà”, mentre fino a oggi

il dibattito su questo tema “ha incontrato ostacoli di natura chiaramente politica e ideologica, ed è stato inficiato da un’idea di cittadinanza concepita come un privilegio da preservare piuttosto che come diritto da estendere, come difesa dei confini identitari in senso protettivo rispetto a un’alterità percepita come estranea e minacciosa piuttosto che come allargamento e arricchimento dei confini soggettivi”.

Questo in generale. Ma c’è un aspetto ulteriore, molto importante, che riguarda soprattutto i settori della conoscenza. Ci sono 900 mila bambine, bambini e adolescenti con cittadinanza non italiana che frequentano le scuole statali del nostro Paese. In gran parte sono nati in Italia, o arrivati in tenera età, parlano la nostra lingua, giocano e crescono con i nostri italianissimi figli e nipoti, ma non hanno gli stessi diritti. Come rimarca Calza, “la riduzione a cinque anni del requisito di residenza potrebbe indirettamente semplificare anche per loro il percorso di integrazione, perché quando uno dei genitori diventa cittadino italiano, anche i figli minori conviventi ottengono automaticamente la cittadinanza”.

Insomma, conclude la dirigente della Flc, “non si tratta semplicemente di accedere a una procedura burocratica ma di garantire diritti, consapevolezza dei doveri e di sperimentare in ciascuno dei contesti di appartenenza la dimensione della solidarietà e della responsabilità per la costruzione del bene comune”. Rendere più facile la cittadinanza per i genitori, in sostanza, rende migliore il futuro degli adulti di domani.