La storia dei forestali siciliani dimostra che la precarietà in Italia è strutturale. Si annida dappertutto, nel settore privato come nel pubblico. Riguarda tantissimi lavoratori e spesso li tiene bloccati nel limbo per anni. Per questo va sconfitta e smontata, pezzo dopo pezzo, norma dopo norma.

Giorgio è precario da 32 anni. Vive in provincia di Palermo e ha un contratto di 101 giorni. In pratica, lavora 101 giorni all’anno. È un “centounista”, come si dice in gergo. Nella sua stessa situazione ci sono circa 9 mila lavoratori. Altri 4 mila hanno contratti da 151 giorni, 1.500 sono a termine ma il loro rapporto dura 12 mesi.

“Sono 32 anni che non ho la paga giusta – racconta Giorgio -, che campo una famiglia con uno stipendio misero. Scioperi, manifestazioni, ma non cambia niente. Come faccio? Mi sacrifico. Prima potevo fare un po’ di nero, come muratore, ma adesso, a 56 anni, chi mi prende? Eppoi non c’è lavoro. A oggi un giorno ancora non l’ho fatto, sono in attesa di esser assunto. Quando mi faranno il contratto sarà per 51 giorni. Poi mi distaccheranno per qualche mese. A settembre altri 50 giorni. E dire che i soldi stanziati ce li hanno, si potrebbe e si dovrebbe lavorare anche a febbraio o a marzo perché nei boschi c’è tanto da fare, piantare alberi, pulire i sentieri, i viali parafuoco, i fiumi”.

I forestali siciliani si stanno battendo per regolarizzare la loro posizione e allo stesso tempo per la campagna referendaria della Cgil. Una vittoria dei sì non risolverebbe i loro problemi, non avrebbe un impatto diretto sulla loro condizione attuale.

“Certo la battaglia referendaria si innesta in un contesto per dire no all’esplosione dei rapporti di lavoro a termine – afferma Enza Pisa, segretaria generale Flai Cgil Palermo -, per cambiare una realtà dove ci sono persone come Giorgio che da trent’anni lavorano con contratti a tempo per la pubblica amministrazione, in cui un datore di lavoro pubblico usa la precarietà come regola per gestire il personale. Con questi referendum i forestali vorrebbero fare in modo che i loro figli non debbano trovarsi in una simile condizione”.

Chi è precario sa che cosa vuol dire esserlo, lo vive sulla propria pelle, non ha accesso al credito, non può programmare la sua vita, non riesce a garantire ai figli il diritto allo studio.

“Ho due figli maggiorenni – racconta Giorgio -. La piccola va all’università, studia scienze motorie online, un corso normale non me lo potevo permettere, tra affitto, bollette, trasferte. Adesso frequenta la magistrale. Per pagarle gli studi mi privo di qualcosa. Se avessi un contratto per 5 o 10 anni sarebbe diverso. Ma così non si può andare avanti”.

In questo caso chi lavora è povero pur lavorando: la sua condizione salariale non gli consente di avere una vita normale. In questo caso la precarietà è legalizzata: il datore è un’amministrazione pubblica che da decenni tiene i dipendenti nell’incertezza.

“La Flai Cgil ha presentato una proposta di riordino, ma la Regione non ci sente – prosegue Pisa -. E mentre i lavoratori vengono chiamati quando ci sono i soldi e non quando è necessario, la Sicilia continua a essere afflitta dagli incendi, la desertificazione avanza, si aggrava il dissesto idrogeologico. Senza la giusta attenzione nei confronti dell’ambiente, senza pianificazione e senza strategia, i nostri territori sono a rischio. La legge di garanzia occupazionale dei forestali fa in modo che vengano assunti tutti gli anni i lavoratori che sono nelle graduatorie, nel frattempo però l’età media si alza e non ci sono nuovi ingressi. Di questo passo scomparirà la gestione forestale come l’abbiamo conosciuta finora. E questo non ce lo possiamo permettere”.