Grazie alla Costituzione e alla legge 833 del 1978 (istitutiva del Servizio sanitario nazionale) l’Italia ha potuto affrontare la pandemia da Covid-19 senza aggiungere alla sofferenza e alla paura del virus la preoccupazione del costo di trattamenti che avrebbero potuto essere insostenibili per la gran parte delle famiglie italiane.

Grazie alla Costituzione e al Ssn nessuna persona esposta al rischio di disoccupazione, fenomeno purtroppo non raro in questi tempi di crisi, ha temuto di perdere insieme al posto di lavoro anche il diritto alle cure.

Non è poco. Eppure, non sempre ne siamo consapevoli.

Abbiamo infatti la fortuna di vivere in un paese che ha saputo dotarsi di un servizio sanitario disegnato in modo da garantireatutti, indistintamente, le cure necessarie e da liberare ogni individuo dal rischio di trovarsi di fronte a una decisione tragica, quella di dover rinunciare all’assistenza, per sé o per un proprio caro, a causa dei costi esorbitanti delle prestazioni.

Una fortuna che in realtà è il frutto delle lotte di tanti uomini e tante donne che, negli anni Settanta, si sono impegnati per garantirci il diritto alla tutela della salute attraverso un sistema universale, globale e solidale. Un servizio sanitario conquistato proprio da quella generazione di anziani che oggi fatica ad avere accesso alle cure. Perché, dopo anni di riorganizzazioni, riduzioni del personale, piani di rientro, accorpamenti che hanno ridotto all’osso la capacità di risposta del Ssn, gli italiani si trovano sempre più frequentemente a dover pensare che – in caso di bisogno - la sanità pubblica non è più il primo riferimento

È necessaria una seria riflessione su quella che potremmo chiamare pandemia ideologica, che da un paio di decenni ha colpito il nostro paese e ha spinto i governi a ridurreprogressivamente il ruolo dello Stato, in particolare nel welfare. Eppure, in nessun altro settore come in quello della salute, i fallimenti del mercato sono noti, rilevanti e causa di disuguaglianze. Il Ssn è un patrimonio di civiltà proprio perché garantisce a tutti un trattamento uguale a quello riservato ai più fortunati e perché libera ognuno di noi dalla paura di non avere i soldi per curare un figlio o un familiare. Al contrario, le assicurazioni evitano le persone più esposte al rischio di ammalarsi e impongono tetti massimi di rimborso che penalizzano proprio chi ha più bisogno. Non si tratta di demonizzare il mercato ma di riconoscerne i vizi, e non solo le virtù, a maggior ragione quando producono ingiustizie. E si tratta di non dimenticare che la salute non è solo un diritto individuale ma è anche interesse della collettività, come recita l’articolo 32 della Costituzione.

Nerina Dirindin, docente di Economia pubblica del Welfare e di Scienza delle finanze all’Università di Torino, presidente dell’associazione Salute Diritto Fondamentale