Era considerato uno dei modelli di sanità pubblica più avanzati d’Italia, per qualità degli hub ospedalieri, copertura del territorio, tempi di risposta alla domanda di salute dei cittadini. Il dopo-pandemia mostra una realtà profondamente mutata, non certo in meglio, anche in Friuli Venezia Giulia.

A rivelarlo sono la crescita delle liste di attesa, con una prenotazione su due che non rispetta i tempi di prescrizione, nonché la fuga di medici e infermieri dalla sanità pubblica, con un numero di dimissioni che negli ultimi tre anni ha superato quello dei pensionamenti. Senza dimenticare la carenza di medici di base, che in alcuni territori assume proporzioni drammatiche (la media regionale sfiora i 1.500 assistiti per medico, superata in tre province su quattro).

Le criticità non sembrano turbare la tranquillità del manovratore, la giunta di centrodestra guidata dal leghista Massimiliano Fedriga, forte di un consenso che nelle elezioni di aprile, quelle che hanno sancito il bis, ha toccato il 64% dei voti, più del doppio di quelli ottenuti dal centrosinistra. Numeri che hanno consentito a Federiga di riconfermare buona parte della giunta arrivata al voto, compreso il titolare della Sanità, il forzista Riccardo Riccardi.

Se opposizione e sindacati denunciano il progressivo declino della sanità regionale, il presidente e l’assessore hanno sempre rimandato al mittente le critiche: non solo quelle di oggi, ma anche le oltre 15 mila firme che giusto un anno fa venivano recapitate a Trieste, nella sede del Consiglio regionale, in calce al testo di una petizione per la difesa della sanità pubblica.

Manca il personale e mancano i medici? È così in ogni regione, replica la giunta, che insiste sulla cura individuata al problema liste di attesa: per contrastare la loro crescita, spiegano Fedriga e Riccardi, salirà il ricorso alle convenzioni con la sanità privata.

A motivare questa scelta, una quota di spesa sanitaria destinata ai servizi del privato sensibilmente più bassa della media nazionale e delle regioni vicine (secondo gli ultimi dati della Ragioneria di Stato, riferiti al 2021, il Friuli Venezia Giulia è al 10,6%, contro il 17,4% del vicino Veneto, il 15,9% dell’Emilia Romagna e il 26% della Lombardia) e l’obiettivo dichiarato di fermare l’esodo verso le strutture sanitarie con sede fuori regione. Nel frattempo sono iniziate le privatizzazioni di alcune attività di pronto soccorso.

Peggiorano, in questo quadro generale, i rapporti con il sindacato. Significativa la rottura del tavolo sulle risorse aggiuntive regionali, i fondi contrattuali dedicati all’incentivazione del personale su alcuni obiettivi condivisi. Ancora più eloquente è il presidio regionale deciso dall’intersindacale dei sindacati dei medici la scorsa settimana.

In trincea anche la Funzione pubblica Cgil, che ha dato il via a un tour di sit-in di protesta che tra martedì 20 e venerdì 23 giugno, in vista della manifestazione nazionale indetta dalla Cgil a Roma per sabato 24, toccherà i sette ospedali della provincia di Udine, la più estesa e popolosa della regione.