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Una società inclusiva, il lavoro come strumento di costruzione di identità e dignità, oltre che di autonomia. Il salto culturale che serve per trasformare il Paese in un luogo dove le persone più fragili siano riconosciute come portatrici di diritti e valori, siano esse migranti, giovani, portatori di disabilità.
La segretaria confederale Cgil Maria Grazia Gabrielli illustra l’impegno del sindacato confederale che va ben oltre la tutela di lavoratori e lavoratrici, contribuendo a costruire una cultura altra rispetto a quella che valorizza solo chi è ritenuto “produttivo”. È la società dell’inclusione che rifiuta la società dello scarto.
Perché un sindacato confederale si occupa delle persone portatrici di disabilità?
Perché ci occupiamo delle condizioni dei lavoratori e delle lavoratrici in una visione inclusiva. È evidente che il nostro è un Paese non a misura delle persone portatrici di disabilità, che per entrare e rimanere nel mondo del lavoro hanno maggiori difficoltà. Vale per i giovani, per le donne, per le persone più vulnerabili, quindi anche per le persone con disabilità.
In Italia esiste una buona legge: prevede che le persone portatrici di disabilità non solo hanno diritto al lavoro, ma devono essere aiutate a trovarlo. Ma è una legge quasi inapplicata.
Questa legge è stata una grande conquista del mondo del lavoro, un importante segno di civiltà. Alcuni esperti sostengono che, essendo passato molto tempo da quando è entrata in vigore, andrebbe cambiata. Penso che prima di cambiarla dovremmo provare ad applicarla fino in fondo, e poi comprendere perché è una legge ancora così poco applicata. Esistono resistenze e pregiudizi che si fa fatica a superare.
Servirebbero dei correttivi?
Sì, senza dubbio, ma gli scopi e gli obiettivi di quella norma sono oggi quasi più attuali di allora. Purtroppo registriamo che le aziende spesso preferiscono pagare le sanzioni pur di non assumere lavoratori e lavoratrici portatori di disabilità. E non è utile né giusto immaginare che l’accesso al lavoro e la realizzazione di un progetto di vita, di cui il lavoro è parte fondamentale, possa essere assegnato solo al terzo settore.
Il mondo delle imprese dovrebbe dunque assumersi qualche responsabilità in più?
Penso che alcuni attori dovrebbero avere maggiore protagonismo e impegno. Certamente il mondo delle imprese, ma pensiamo sia necessaria anche una vera presa in carico da parte delle strutture pubbliche, a partire dai Centri per l’impiego. Conosciamo tutti qual è la situazione dei Centri: ci sono problemi legati alla scarsità del personale, alla necessità di nuove assunzioni e di competenze appropriate. Fanno fatica alla presa in carico in generale di aspiranti lavoratori e lavoratrici, a maggior ragione di soggetti che hanno bisogno di un’attenzione particolare e specifica. I Centri per l’impiego vanno riformati e rinforzati.
E poi ci sono gli uomini e le donne che lavorano a favore e con le persone portatrici di disabilità: gli operatori socio-sanitari, i medici, gli infermieri, i fisioterapisti, gli insegnanti di sostegno. Anche questo è un mondo pieno di ostacoli.
Sì, certamente. Lo dimostra, del resto, ogni autunno la ripresa dell'anno scolastico con il giro degli insegnanti di sostegno che crea difficoltà alle famiglie e lede i diritti dei ragazzi e delle ragazze. Una questione che riguarda – oltre che la categoria – anche il sindacato confederale, perché l'accesso alla scuola e il sostegno di cui i ragazzi e le ragazze portatori e portatrici di disabilità necessitano, vengano assunti come elementi centrali, non ogni volta emergenziali. Le ricette le abbiamo indicate, ma sono scarsamente praticate da parte del ministero e del governo. Va rafforzato il mondo della scuola, a partire ovviamente dall’eliminazione della precarietà, ponendo anche attenzione alle persone con disabilità e alle loro famiglie.
Stiamo parlando di servizi di welfare, di istruzione, di scuola, di lavoro, ma alla base di tutto questo sembra esserci la necessità di un salto culturale del Paese.
Purtroppo sono ancora troppi gli ostacoli, troppe le discriminazioni, troppe le difficoltà che riguardano le persone con disabilità. Ma non soltanto, basti pensare a come crescano nella nostra società gli episodi di bullismo, razzismo, emarginazione, che fortunatamente convivono invece con tanta solidarietà, tanta attenzione da parte di chi prova quotidianamente a lavorare – appunto - a questo necessario salto culturale. Se ne parla troppo poco. E forse, oltre a parlarne, che è già una cosa importante, bisognerebbe provare ad associarla a prassi e atti concreti.
Il prossimo 8-9 giugno siamo chiamati al voto per i cinque referendum sul lavoro e la cittadinanza. Vale anche per i cittadine e le cittadine con disabilità.
“Il voto è personale e uguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico.” “Il diritto di voto non può essere limitato…”: così l’articolo 48 della Costituzione esprime come l’esercizio del proprio diritto di voto rappresenti un diritto fondamentale di cittadinanza. Un diritto conquistato per tutte e tutti, per decidere, per scegliere, per cambiare, come sarà possibile fare con il referendum dell’8-9 giugno votando cinque Si ai quesiti sul lavoro e sulla cittadinanza. La partecipazione al voto rinnova questo diritto e lo rende più forte, ma ricordiamo anche che un diritto deve essere pienamente esigibile per essere praticato. Esistono precise indicazioni normative per favorire l’esercizio del diritto di voto da parte delle persone con disabilità: il voto assistito con accompagnatore in cabina, il voto a domicilio per le disabilità più gravi, il voto in altra sezione per motivi di accessibilità, i servizi di trasporto e l’accompagnamento fino alla cabina elettorale. Purtroppo ancora oggi capita di imbattersi in alcuni problemi a causa della mancata conoscenza delle procedure corrette per garantire il diritto di voto alle persone con disabilità.