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Un’altra piccola magia del governo dell’efficienza. Mentre l’Italia sprofonda tra inflazione, salari da fame e servizi al collasso, si trova pure il tempo di fare un emendamento per rendere più precario chi già vive sul filo. Non un piano per stabilizzare i lavoratori, non un colpo di reni per restituire dignità ai contratti. No, meglio allungare il guinzaglio della somministrazione, perché un precario ben tenuto è un problema in meno per chi comanda.
La nuova trovata consiste in un raffinato gioco di prestigio normativo: si prende la durata massima dei rapporti in somministrazione e la si allunga fino a 48 mesi, senza causali, senza vincoli, senza vergogna. Il tutto servito come fosse un dettaglio tecnico, infilato dentro il “decreto economia”, perché nulla grida crescita come più precarietà. È la flessibilità che avanza, travestita da riforma, ma con il trucco colato e la frusta bene in vista.
Naturalmente, nessuna discussione pubblica, nessun confronto con chi rappresenta quei lavoratori. I sindacati possono pure sventolare proposte, suggerimenti, analisi. Basta una pacca sulla spalla tra governo e relatore, e le modifiche s’infilano nei decreti come souvenir nella valigia. Si legifera con la disinvoltura di chi sa che non dovrà mai rispondere a chi prende mille euro al mese da dieci anni.
Nel Paese dove tutto è emergenza tranne la condizione di chi lavora, si continua a spacciare l’eccezione per regola e la precarietà per normalità. Nessuna norma che obblighi all’assunzione se le esigenze dell’impresa persistono, nessun freno al turn over infinito, nessun limite alla discrezionalità padronale.
Cgil e Nidil chiedono il ritiro immediato dell’emendamento. E fanno bene. Ma l’esecutivo, sordo a ogni appello, tira dritto come un autista distratto nella corsia d’emergenza. Finché qualcuno non gli metterà davanti uno spartitraffico. O una Costituzione.