Nato a Roma nel 1950, primo socialista a guidare la Cgil, Guglielmo Epifani ci lasciava il 7 giugno del 2021. Laureato in filosofia con una tesi su Anna Kuliscioff, ricercatore presso la cattedra di Storia moderna alla facoltà di Lettere alla Sapienza, direttore dell’Esi (la casa editrice della Cgil), Epifani aveva iniziato nel 1979 la sua carriera di dirigente sindacale nella categoria dei lavoratori poligrafici e cartai.

“Facevo il ricercatore”, era solito raccontare: “Poi Piero Boni, che era l’aggiunto di Lama, mi chiese di raccogliere gli scritti di Bruno Buozzi. Pubblicammo un libro, mi proposero di occuparmi della casa editrice del sindacato. A 27 anni scelsi il sindacato di cui mi ero, se si può dire, innamorato (…) La ricerca è stata il mio primo amore e per un certo tempo ho pensato che sarebbe stata anche il mio futuro e la mia vita. Poi ho incrociato il sindacato, sia pure all’inizio proprio per il tramite della ricerca e dello studio, e quella passione ha prevalso”.

Continua Epifani: “Ma non ho mai percepito una cesura netta fra le due esperienze. Anche se, con il crescere negli anni delle responsabilità più strettamente politiche, il tempo e la concentrazione per lo studio e l’approfondimento sono stati inevitabilmente un po’ sacrificati. Non è mai venuta meno, però, l’attenzione a questi aspetti, perché è l’azione sindacale stessa che si alimenta della ricerca. (...) Ma più in generale l’importanza - direi la centralità - della ricerca nell’attività sindacale sta nel fatto che essa garantisce autonomia. Intendo innanzitutto autonomia intellettuale, culturale. L’elaborazione di un punto di vista proprio consente indipendenza dalle visioni, pur autorevoli, di altri soggetti e istituzioni. E costituisce anche, credo, un arricchimento per il dibattito e la riflessione generale”.

Dopo aver ricoperto la carica di segretario generale della Filpc, Guglielmo passa alla Filis (Federazione italiana lavoratori dell’informazione e dello spettacolo). Nel 1990 entra nella segreteria confederale guidata da Bruno Trentin assumendo l’incarico di responsabile dell’organizzazione e nel settembre del 2002 il Comitato direttivo della Cgil lo elegge segretario generale, incarico che lo impegna fino al termine del 2010.

Nel 2013 viene eletto in Parlamento nelle fila del Pd del quale sarà segretario nazionale da maggio a dicembre 2013. Sarà quindi rieletto nel 2018 nelle liste di Leu.

“Il lavoro che ci aspetta non è facile”, diceva il giorno della sua elezione a segretario generale del più grande sindacato d’Italia: “L’augurio che faccio a tutti noi, a partire dalla segreteria confederale, è di portare la nostra Cgil al compimento dei 100 anni di vita altrettanto unita e autorevole come è oggi. Il grande merito di Sergio è stato questo: una Cgil autonoma, forte, unita, amata, rispettata, temuta. E di lui, che dire? Un lavoro faticoso, una dedizione continua, uno spirito di sacrificio che raramente si incontrano. Con Sergio abbiamo lavorato in questi dodici anni, se posso dire, spalla a spalla. Abbiamo condiviso scelte, preso decisioni difficili, qualche volta discusso con passione. E con noi molti dei compagni del Comitato direttivo e che sono qui presenti, altri, come Bruno Trentin, Pizzinato, Del Turco e Bertinotti, impegnati in funzioni di rappresentanza parlamentare e politica; altri ancora che invece ci hanno lasciato, spesso all’improvviso, dedicando alla Cgil la loro passione e la loro vita”.

Così prosegue: “Con l’elezione a segretario generale di un compagno di formazione politica e ideale socialista, si porta a compimento il processo avviato con lo scioglimento delle componenti politiche oltre dieci anni fa: una scelta che ha rafforzato l’autonomia della Cgil, ci ha portato a definire un impianto forte di regole e procedure generali, con i necessari equilibri e funzioni di controllo, e a riconoscerci nei fondamenti programmatici e di valore comuni. Anche per questo si carica su di me una più alta responsabilità che spero, insieme con le compagne e i compagni della segreteria confederale e con tutti voi, di saper affrontare. Anche perché il valore dell’autonomia è fondamento della libertà e della responsabilità di ognuno di noi; della nostra unità, della nostra democrazia”.

In occasione del 100° anniversario della Cgil così affermava: “Un Paese che non guardi ai giovani è un Paese che si chiude, che ha paura, che non investe sul proprio futuro. (…) Non abbiamo vissuto e speso questa storia per tornare alle disuguaglianze del tempo delle origini. Non lo vogliamo. Non lo permetteremo. Non lo possono volere tutte quelle imprese che puntano sulla qualità e sull’innovazione per reggere la competizione in un mondo reso più incerto e difficile dalla globalizzazione dei mercati. Lavoreremo - care compagne e cari compagni - perché il futuro abbia il cuore e la forza di questa storia, che è storia del Paese, rinnovandola e riformandola, accettando le sfide, come sempre abbiamo fatto, quando la sfida ha avuto e ha una posta importante. Quello che ha alimentato una ragione di vita e una ragione di appartenenza, per tanti, attraverso le generazioni, ci servirà per il cammino che ci aspetta.

Epifani continuava: “Qui, oggi, a Milano, rinnoviamo lo stesso impegno di allora. Ripartiamo con un nuovo inizio, orgogliosi della nostra storia e dei valori, che ne hanno segnato il percorso e ne accompagneranno il futuro, insieme con tanti altri al nostro fianco. In questo modo la storia centenaria della Cgil e di tutto il sindacato continuerà a vivere davvero e sarà stata una storia spesa bene, per chi la volle e per il Paese. Una storia che con emozione e orgoglio - non inferiore a quello che provarono i delegati di quel congresso cento anni fa - consegniamo a tutti coloro che verranno. Perché questa storia gli appartiene, perché vogliamo che il futuro comune riparta da qui”.

“Guglielmo è stato un amico prima ancora di essere un sindacalista con il quale ho diviso molti anni di lavoro”, dichiarava commosso il giorno della sua morte Sergio Cofferati: “Era una persona dolce e nel contempo un uomo assai determinato nell’affrontare anche le situazioni più difficili. Ha dato un contributo rilevante alla sinistra riformista sia nel sindacato sia nella sua esperienza politica, costruendo consenso e condivisioni alle scelte economiche e sociali più impegnative di questi decenni. Ci mancherà molto”.

È vero. Guglielmo ci manca. Ci manca la sua gentilezza, la sua educazione, la sua capacità di cucire, di mediare. Ci manca la sua lungimiranza. Quella lungimiranza che lo portò nel 2010 a indicare - la prima nella storia della nostra organizzazione - una donna per la sua successione.

“Lascio con la speranza che le cose possano cambiare”, ci diceva il 16 ottobre 2010, in quella piazza San Giovanni di Roma, luogo dei nostri grandi appuntamenti, delle grandi sfide. E noi non smetteremo di lavorare perché le cose cambino davvero, Guglielmo. A schiena dritta, a testa alta. Con quella ferma e determinata gentilezza che ci hai insegnato tu.