Il 13 maggio del 1978 il Parlamento italiano approvava la cosiddetta “legge Basaglia”, che impone la chiusura dei manicomi e regolamenta il trattamento sanitario obbligatorio, istituendo i servizi di igiene mentale pubblici. Una legge nata quattro giorni dopo l’assassinio di Aldo Moro, in una commissione ministeriale presieduta da Tina Anselmi. “L’unica vera riforma mai realizzata in Italia”, nella definizione di Norberto Bobbio, “uno dei pochi eventi innovativi nel campo della psichiatria su scala mondiale”, come indicato dall’Organizzazione mondiale della sanità nel 2003.

Durante la Resistenza Franco Basaglia aveva conosciuto il carcere come prigioniero politico, un episodio che tanto influenzerà le sue idee e le sue scelte future. “Quando sono entrato per la prima volta in carcere - dirà - ero studente di medicina e lottavo contro il fascismo (…) c’era un odore terribile, un odore di morte. Mi ricordo di aver avuto la sensazione di essere in una sala di anatomia dove si dissezionano i cadaveri (…) quando sono entrato per la prima volta in manicomio ho avuto quella stessa sensazione (…) ho avuto la sensazione che quella fosse un’istituzione completamente assurda, che serviva allo psichiatra che ci lavorava per avere lo stipendio a fine mese. A questa logica assurda, infame del manicomio noi abbiamo detto no”. 

“La follia - era solito dire - è una condizione umana. In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione. Il problema è che la società, per dirsi civile, dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia”.

 

“L’istituzione manicomiale - affermava in Morire di classe - ha in sé, nel suo carattere violento coercitivo discriminante, una più nascosta funzione sociale e politica: il malato mentale, ricoverato e distrutto nei nostri manicomi, non si rivela soltanto l’oggetto della violenza di un’istituzione deputata a difendere i sani dalla follia; né soltanto l’oggetto della violenza di una società che rifiuta la malattia mentale; ma è insieme, il povero, il diseredato che, proprio in quanto privo di forza contrattuale da opporre a queste violenze, cade definitivamente in balia dell’istituto deputato a controllarlo. Di fronte a questa presa di coscienza, ogni discorso puramente tecnico si ferma. Che significato può avere costruire una nuova ideologia scientifica in campo psichiatrico se, esaminando la malattia, si continua a cozzare contro il carattere classista della scienza che dovrebbe studiarla e guarirla?”.

 

La Legge 180 anticipa di pochi mesi la legge istitutiva del Servizio sanitario nazionale (23 dicembre 1978) e di pochi giorni la legge 194 relativa all’interruzione volontaria della gravidanza (22 maggio 1978). Tre leggi, una solo firma, quella di Tina Anselmi. “L’articolo 32 della Costituzione vale per tutti”, disse il giorno dell’approvazione della legge.

L’art. 32 (La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge) vale per tutti. Anche per i “matti”.

“Non è importante tanto il fatto che in futuro ci siano o meno manicomi e cliniche chiuse – disse lo stesso Basaglia intervistato da Maurizio Costanzo -, è importante che noi adesso abbiamo provato che si può fare diversamente, ora sappiamo che c’è un altro modo di affrontare la questione; anche senza la costrizione”.