In questa fase di piena emergenza si parla quasi sempre del Nord, come è giusto, essendo questa la parte d’Italia più colpita dal coronavirus. Tuttavia, come ormai tutti gli osservatori rilevano, le ricadute sui sistemi economici saranno pesanti ovunque e, anzi, rischiano di avere un impatto più forte e dirompente nei territori più fragili a partire dal Sud. Proprio in queste ore Unioncamere Puglia ha reso pubblico uno studio sull’impatto possibile dell’epidemia sull’economia regionale.

Anche se il presidente dell’istituto, Luigi Triggiani, ha sottolineato come “ogni valutazione relativa alle conseguenze del Covid 19 sull’economia del territorio non può al momento avere fondamenta di tipo fattuale, ma soltanto presuntivo”, visto che nessuno è ancora in grado di prevedere la durata della fase due né l’efficacia delle misure adottate da Ue e governo, i dati che emergono dallo studio sono particolarmente allarmanti.  

Secondo l’indagine, in Puglia il numero di imprese a 31 dicembre 2021 scenderà da 379.000 a 359.000. Quindi, 20.000 imprese in meno, con una perdita di 69.000 posti di lavoro. L’andamento negativo avrà un picco fra il 2022 e la prima metà del 2023, mentre ai numeri attuali si potrà tornare solo nel 2025. Secondo Unioncamere a soffrire saranno soprattutto le attività edili, minerarie, il commercio all’ingrosso e al dettaglio, e il turismo. All’interno del comparto manifatturiero i settori più colpiti saranno la meccanica, i mobili e la moda. Le attività che registreranno invece chimica, elettronica, farmaceutica e, seppur con qualche problema in più, agricoltura, pesca e servizi di informazione e comunicazione.

“Le stime sull’impatto che il Covid-19 avrà sull’economia regionale e che anche Unioncamere Puglia ha diffuso, non fanno che rafforzare quel che le Cgil sostiene fin dall’inizio: serve un forte intervento dello Stato anche attraverso il sostegno dell’Europa a favore del sistema produttivo, dei lavoratori, per affrontare le emergenze sociali che emergono e si sommano ai già preoccupanti indici di povertà esistenti nei nostri territori”, commenta il segretario generale della Cgil Puglia, Pino Gesmundo.

Quali saranno, secondo la Cgil, i comparti più colpiti?

“È evidente come alcuni comparti soffriranno più di altri – pensiamo al turismo e al suo indotto – e non crediamo sia un caso invece se tra quelli che soffriranno meno vi sono settori fortemente innovativi. Nello studio tra le variabili che influiranno su queste stime preventive viene indicata la consistenza e facilità di fruizione delle risorse che a ogni livello saranno messi a disposizione del sistema produttivo.

A essere più in difficoltà, probabilmente, saranno le aziende di dimensioni più ridotte...

Abbiamo un tessuto produttivo dove prevalgono le piccole imprese. Quasi 500.000 dipendenti pugliesi lavorano in realtà con al massimo 9 addetti. Attività che hanno minori strumenti finanziari, manageriali e tecnologici per ripartire di slancio. Allora questa può e deve essere un’occasione per tutto il sistema anche per riorientarsi verso un modo nuovo di produrre – rispetto a organizzazione, lavoro e sostenibilità – ma anche verso settori diversi, innovativi e più competitivi, ad esempio raccogliendo nel manifatturiero la sfida della digitalizzazione. In questo senso per la Cgil, le risorse che arriveranno dovranno essere condizionate alla ripresa, alla salvaguardia dell’occupazione, all’innovazione tecnologica, ovviamente alla predisposizione delle necessarie misure di sicurezza.

Tutti parlano di fase due, quali sono secondo voi le condizioni per la ripresa dell’attività produttiva?

Dal livello nazionale a quello regionale abbiamo ribadito un concetto molto semplice: si riparte se ci sono le condizioni, se si rispettano le misure del Protocollo sulla sicurezza, se ogni azienda predispone piani che sottopone al sindacato, alle Prefetture, alla Regione, su cui si esprime un comitato tecnico scientifico. Ma vorremmo già da subito ragionare anche su come riorganizziamo i trasporti pubblici, in sicurezza per utenti e operatori. Su come si struttura la fase di ispezione e controllo, perché certo la responsabilità è delle imprese ma qualcuno dovrà vigilare. E, non ultimo, su come rilanciare le infrastrutture sociali e di welfare, non solo perché creano anch’esse Pil e occupazione, ma in quanto indispensabile supporto al benessere dei cittadini. Pensiamo ad esempio a scuole e asili, a come conciliare condizione lavorativa dei genitori che hanno figli minori. Crediamo che agire attraverso questi percorsi debba essere interesse di tutti, a garanzia di non incorrere in errori e pagare magari un prezzo ancor più alto per eventuali nuove diffusioni del contagio e successivi blocchi produttivi.