Nathan Mondragon, che di mestiere fa lo psicologo, lavora per la Hirevue, una società che produce software in grado di selezionare il candidato ideale per un'offerta di lavoro attraverso algoritmi e intelligenza artificiale. "La questione sta tutta nel guardare ai particolari, alle piccole cose", spiega Mondragon al quotidiano inglese Guardian, che in un articolo di Stephen Buranyi affronta il tema della "disumanizzazione" della ricerca del lavoro ("Dehumanising, impenetrable, frustrating: the grim reality of job hunting in the age of AI").

Il software della Hirevue, usato da giganti come Unilever e Goldman Sachs, chiede ai candidati di rispondere ad alcune domande standard davanti a una telecamera. Fin qui nulla di particolare. Ma mentre i potenziali neoassunti rispondono, il software annota migliaia di piccolissimi, quasi impercettibili segnali: cambi di posizione, espressioni del volto, variazioni nel tono della voce e scelta delle parole

Poi, questa montagna di dati raccolti si trasforma in un punteggio che viene comparato con quello, già registrato dal software in precedenza, di un dipendente modello, perché l'idea - spiega ancora Mondragon - è che un futuro buon lavoratore assomiglia molto a un attuale buon lavoratore, in molti aspetti che un intervistatore umano non sarebbe in grado di notare. La cosa appare piuttosto "disumanizzante", appunto, ma Hirevue assicura che i risultati (per le imprese, ovviamente) ci sono. E infatti, non è l'unica ad essersi lanciata in questo nuovo business: rimpiazzare l'uomo nel campo delle assunzioni. Un mercato che varrebbe, secondo alcuni studi, circa 3 miliardi di dollari all'anno.

La cosa però è molto meno affascinante se si guarda dall'altro punto di vista, quello di chi cerca lavoro. Che succede ad esempio se il candidato ritiene di essere stato discriminato dall'algoritmo? Che margini di ricorso può avere? E che succederà ai candidati "non tradizionali", ai più poveri, a quelli che "litigano" con la tecnologia, stile "Io, Daniel Blake" di Ken Loach? Lo svantaggio per loro sarà inevitabile. 

La maggior parte degli studi sulla disoccupazione in Gran Bretagna ignora il vasto mondo di chi ha rinunciato - anche per queste difficoltà - a cercare lavoro. L'Ons (l'Istat britannico) calcola che 8,7 milioni di persone tra i 16 e i 64 anni sono economicamente inattive, ma questa cifra - avverte il Guardian - è destinata a crescere proprio per la nuova realtà "disumanizzata" del job hiring.

Un fenomeno recente, ma non recentissimo, rispetto al quale i sindacati britannici sono in ritardo. Tuttavia, Uni Global, la federazione internazionale che unisce i sindacati del settore dei servizi, e altre organizzazioni hanno iniziato a lavorare sul tema dei diritti digitali e sul governo delle decisioni basate su algoritmi e intelligenza artificiale, con l'obiettivo di farne parte integrante della contrattazione. Intanto, è imminente un aggiornamento del European Union General data protection regulation (Gdpr) che imporrà alle aziende di dichiarare quando una decisione "che incide in maniera significativa sull'individuo" è automatizzata. E chi cerca lavoro avrà anche il diritto di contestare la decisione e chiedere un intervento umano. Il che, visti i tempi, non è poco.