“L’inserimento di Porto Marghera e del Comune di Venezia nelle aree di crisi complessa nazionali può rappresentare una straordinaria opportunità per rilanciare una delle più grandi e attrezzate aree industriali d’Europa, creare nuova e stabile occupazione, riequilibrare un'economia oggi fortemente sbilanciata sul turismo". È quanto affermano Fiom del Veneto e di Venezia in un comunicato. 

"Per fare questo - scrivono i sindacati - occorre ridefinire una strategia complessiva sulla città, propedeutica a rilanciare gli investimenti pubblici e privati, consolidare le attività esistenti, industriali e logistico-portuali, favorire un nuovo insediamento produttivo ad alto tasso d'innovazione di prodotto e di processo. In tal senso, le nuove tecnologie e il processo di digitalizzazione di Industria 4.0, insieme al lavoro sinergico con le università di Venezia e Padova possono rappresentare un veicolo per orientare uno sviluppo a Marghera anche di una manifattura fortemente qualificata, innovativa e sostenibile dal punto di vista ambientale".

"Un obiettivo da perseguire - secondo la Fiom - anche attraverso il consolidamento e lo sviluppo delle attività produttive esistenti, a partire dalla produzione navale e dalla Fincantieri, da quelle dell’alluminio (Slim fusina rolling, già ex Alcoa), della chimica green e dei relativi appalti, da quelle aereonautiche (gruppo Leonardo e Superjet internazionale) e delle altre attività presenti a Marghera, comprese quelle dell’artigianato".

"Per queste ragioni, la ventilata ipotesi che trapela quasi quotidianamente nella stampa locale circa il possibile trasferimento delle grandi navi a Marghera, non è condivisibile - conclude  in quanto rischia, se praticata, di pregiudicare le stesse attività produttive dell’area e l’occupazione di migliaia di lavoratori e lavoratrici, oltrechè di mettere la parola fine a qualsiasi progetto di rilancio e sviluppo innovativo dell’area di Porto Marghera. Se da un lato, è urgente affrontare e risolvere la questione delle grandi navi a Venezia, ciò non può avvenire con scelte pregiudizievoli delle attività e dell’occupazione esistente, né può tradursi in un aumento della pressione turistica in centro storico e in terraferma, con un cambio di destinazioni d’uso delle aree oggi vincolate ad uso industriale e non commerciale e turistico”, conclude il sindacato.