Sullo sfondo, un groviglio di tubi, scale, ponteggi, dove una band - i Mokadelic - suona un rock assordante. In primo piano loro, contadini, operai e impiegati, che avanzano fino al centro della scena, come nel celebre quadro di Pellizza da Volpedo. Inizia così “Ritratto di una nazione. L’Italia al lavoro”, l’opera-fiume messa a punto da Antonio Calbi e Fabrizio Arcuri. Un lavoro suddiviso in 20 pieces teatrali provenienti da tutte le regioni del Paese, per un totale di 12 ore di spettacolo.

Nella prima parte, andata in scena in questi giorni al teatro Argentina di Roma, sono compresi i primi 9 episodi, cui vanno aggiunti il prologo, “Risultato da lavoro”, scritto dal premio Nobel per la letteratura 2004, l’austriaca Elfriede Jelinek, e interpretato da Maddalena Crippa, che dà vita a una moderna Penelope che riflette sul suo lavoro, che crea e distrugge, e “Meccanico-cosmo”, racconto del collettivo Wu Ming 2 e Ivan Brentari, che ripercorre le dure lotte sindacali che hanno portato alla nascita dei contratti collettivi di lavoro, partendo dallo sciopero al contrario alla Breda di Sesto San Giovanni - la “Stalingrado” d’Italia - nell’aprile 1961. Nello stesso momento in cui Juri Gagarin faceva il primo giro della Terra nello spazio, fino ai giorni nostri con l’occupazione operaia di General Electric, la multinazionale americana dell’energia, la cui vertenza si è conclusa nei mesi scorsi con l’accordo con Alstom Power, dopo la lunga battaglia di lavoratori e sindacati avvenuta alle porte di Milano negli stessi capannoni industriali di 56 anni prima.

Lo spettacolo corale del teatro di Roma racconta con la voce di 20 scrittori un’originale ricognizione nel mondo del lavoro italiano di oggi, fatto perlopiù di precari e disoccupati, dove l’illegalità è un filo rosso continuo, soprattutto in certe zone del Paese. Come in Puglia, dove Alessandro Leogrande, con “Pane all’acquasale”, mette davanti allo specchio Giuseppe Di Vittorio, protagonista del primo sciopero dei braccianti di Cerignola nel 1904, un lavoratore polacco della provincia di Foggia che deve fare i conti con il nuovo e violento caporalato che sfrutta i migranti, un operaio dell’Ilva di Taranto alle prese con il disastro ambientale del colosso dell’acciaio.

Le loro vite intrecciate raccontano di ingiustizie, umiliazioni, ricatti, condizioni di semischiavitù, che nell’arco di oltre un secolo non sono poi cambiate di molto. Michele Placido dà voce al monologo su Di Vittorio, che riprende alcuni episodi della vita del grande sindacalista pugliese, già comparsi sul settimanale “Il Lavoro” nel 1952 e ripresi successivamente da “Rassegna Sindacale” nel supplemento “Di Vittorio a memoria. Storie di una gioventù”, uscito nel 2007.

Il grande affresco sul lavoro prosegue con “Petrolio” di e con Ulderico Pesce, ispirato all’omonimo romanzo postumo di Pier Paolo Pasolini, che narra la vicenda del Centro Oli di Viggiano in Basilicata, con l’apertura del più grande giacimento petrolifero europeo dell’Eni. Lì, in Val d’Agri, vive Giovanni, che grazie ai pozzi di petrolio, da cui si estraggono circa 100.000 barili al giorno, trova un’occupazione. Nel frattempo, però, nella nuova “Lucania saudita” che dovrebbe portare ricchezza per tutti, si ammala Maria, la sua figlia adorata, e l’operaio scopre che nel giacimento dove lui è addetto alla manutenzione, c’è una falla sempre più grande. E allora che fare, è meglio denunciare tutto? È più importante il lavoro o la salute?

Dilemma più attuale che mai, che è poi il soggetto anche di “Festa nazionale”, la storia scritta da Michela Murgia, dedicata alla base Nato dell’Ogliastra, in Sardegna. C’è chi dice che proprio in quella terra, dove prima non c’era lavoro, ma la natura era bellissima, dalla collina al mare, sia arrivato l’inquinamento, che la zona sia ormai radioattiva per via di test ed esercitazioni effettuate su armi chimiche e nucleari. Ma Gianna, la protagonista del racconto, che fa la donna delle pulizie proprio nella base americana, non vuole crederci, anche se suo marito, pastore, è morto da poco all’improvviso di leucemia.

Altro tema più vivo che mai, lo sfruttamento degli operai asiatici da parte della Fincantieri di Monfalcone, il cantiere navale un tempo specializzato in navi da guerra e oggi riconvertito in transatlantici da crociera che trasportano turisti cinesi alle Bermuda. È l’effetto della globalizzazione, che porta anche ragazzi bengalesi a giocare a cricket nei parchi cittadini, suscitando le invettive dai toni razzisti di una distinta signora locale, protagonista di “Etnorama 34074”, il monologo friulano di Marta Cuscunà , che finisce con l’arrivo di una tigre del Bengala, fuggita da un circo e che trova rifugio proprio negli stabilimenti Fincantieri.

L’invasione del malaffare e delle mafie è al centro di “Saluti da Brescello”, la piece dell’Emilia Romagna, scritta da Marco Martinelli, dove le statue di Peppone e Don Camillo assistono attonite e impotenti al declino del loro paesello, all’arrivo di corruzione politica e speculazione edilizia, malgrado le denunce di Donato Ungaro, il vigile urbano al centro dell’episodio, che fa in pieno il suo dovere ma alla fine perde il lavoro, licenziato per mano del sindaco, complice della criminalità organizzata calabrese che ha messo radici in quella zona.

La crisi economica stravolge anche il ricco Nord Est, dove Giuseppe Battiston e Roberto Citran, i due interpreti di “North by North-East” e di “Start-up” di Vitaliano Trevisan, ispirandosi alla Bottega del Caffè di Carlo Goldoni, sono due novelli Pantalone e Don Marzio, che anziché disquisire di caffè, zucchero e pandori, parlano invece di traffici di droga e prostitute, organizzando un servizio di trasporto dall’Italia all’Ucraina assai redditizio.

Il crollo dei valori ingloba pure la vicina Lombardia, dove “Redenzione”, la piece messa a punto da Renato Gabrielli intreccia populismo, finta solidarietà, realtà dell’immagine e social network, con un gruppo di giovani disoccupati pronto a intonare l’inno fascista “Giovinezza” pur di trovare lavoro.

Ma l’episodio più toccante, che lascia senza parole, è quello siciliano, che si svolge nel luogo più estremo d’Italia, Lampedusa, dove Davide Enia recita “Scene dalla Frontiera”, tratto dal suo ultimo romanzo “Appunti per un naufragio”, descrivendo ciò che quotidianamente accade nel Mediterraneo, attraverso la testimonianza di un palombaro che lavora nelle squadre di soccorso a mare e si è inventato un nuovo mestiere, o meglio una specializzazione, “il recuperatore dei corpi senza vita dei migranti in mare”.

Un teatro inchiesta, insomma, dove il lavoro è declinato nei suoi molteplici modi presenti. Come ha ricordato il direttore del Teatro di Roma, Calbi, “il teatro deve farsi carico, oggi più che mai, di temi forti, sentiti, urgenti, per far sì che il passato sia di monito e produca un avanzamento della storia”. Il seguito di questa insolita Italia al lavoro si completerà con gli altri episodi nel 2018.