Il soggetto principale di oggi è l’Europa. La parola, che indica un concetto in veloce trasformazione e per certi versi ancora indefinito, ricorre in tutti i titoli di apertura dei quotidiani, anche di quelli di destra che danno ragione all’Olanda che bastona l’Italia perché poco credibile nella realizzazione delle riforme. Lo scontro è ancora in pieno svolgimento e se il soggetto è l’Europa, l’oggetto sono i fondi per la ricostruzione dopo la pandemia, quel Recovery Fund che sembrava assodato e che invece i cosiddetti “paesi frugali” hanno rimesso in discussione. “Al vertice Ue ultimo scontro sui sussidi a fondo perduto” è il titolo del Sole 24 ore, che sintetizza efficacemente il braccio di ferro: per Italia, Germania, Francia e Spagna non si può scendere sotto 400 miliardi. I paesi frugali (Olanda e Svezia in prima fila, insieme all’Austria e alla Danimarca) pensano invece che non si può andare oltre quota 350. “Si tratta tra i sospetti per l’accordo” è il titolo del Corriere della Sera che parla di un possibile compromesso dopo gli scontri: “Più prestiti e meno soldi a fondo perduto”. Repubblica titola “L’Europa lacerata”. A Bruxelles terzo giorno di durissimo confronto con i “frugali”, sordi anche a Merkel e Macron. L’ultima trincea italiana: 70 miliardi a fondo perduto. E nella notte spuntano spiragli per un accordo. Il Messaggero punta l’attenzione sugli interessi nazionali immediata: “Fondi Ue ridotti per l’Italia”. Scontro a Bruxelles. I frugali: 350 miliardi di sovvenzioni, per il nostro Paese 25 miliardi in meno. Conte: se crolla tutto ne risponderà Rutte. Si tratta nella notte. Telefonata premier-Mattarella.  Per La Stampa “L’Europa rischia tutto. Conte attacca Rutte: “distruggi il mercato”. Netto anche il titolo del Fatto Quotidiano: “Basta un Rutte a suicidare l’Ue. Poche ore per vivere o morire”. Se questi sono i titoli più in evidenza, vediamo i principali commenti. Sul Corriere della Sera da segnalare l’editoriale di Paolo Mieli: “Acrobazie mentali” in riferimento alla difesa dell’Italia da parte dell’Ungheria di Viktor Orban e , sempre sul Corriere, l’analisi di Paolo Valentino sull’Olanda: “Perché Mark fa il duro” (a pagina 3). Su Repubblica l’editoriale di Ezio Mauro: “I nuovi nazionalisti” e il commento di Stefano Folli “E ora il Mes tona una priorità”. Per le mappe di Ilvo Diamanti questa settimana si parla della popolarità del premier Conte (a pagina 7). Sul Messaggero da segnalare l’intervento di Romano Prodi, che giustamente concentra l’attenzione sull’assurdità del modulo di voto europeo: “L’Unione e il paradosso del voto all’unanimità”. Su La Stampa da segnalare un approfondimento di Massimiliano Panarari sulle culture profonde che si stanno scontrando in Europa: “Max Weber e la solita Italia papista” che a parte il titolo ad effetto mette a confronto la cultura protesta e quella cattolica a proposito di debito, economia, sensi di colpa, frugalità, formiche e cicale…con una interessante conclusione sulla sintesi culturale che ha rappresentato in Europa Mario Draghi. Sempre da La Stampa segnaliamo l’intervista al ministro degli Affari Regionali, Francesco Boccia: “E’ in ballo l’idea stessa di Unione. Non diamo fiato ai sovranisti” (Francesca Schianchi a pagina 2). Sul Fatto Quotidiano l’intervista all’economista Jean Paul Fitoussi: “Il Recovery è poco, il mondo nuovo non è questa Europa” (Antonello Caporale a pagina 4)

Salveremo la musica. Landini risponde ad Accardo
“I musicisti, gli orchestrali, i lavoratori e gli studenti dei conservatori, tutti coloro che contribuiscono a un'attività creativa e importante anche economicamente, finora sono stati un po' abbandonati. Il governo non ha fatto abbastanza per loro, ma possono contare sull'impegno mio personale e di tutta la Cgil”. Così Maurizio Landini, segretario generale della Cgil, ha risposto all’appello del maestro Salvatore Accardo sulla piattaforma digitale della Cgil, Collettiva.it.

Rispondendo al messaggio video del maestro Accardo pubblicato nei giorni scorsi su Collettiva.it, Landini ricorda che “in questo momento centinaia di migliaia di lavoratori e lavoratrici della cultura si trovano in condizione di grave disagio. Un milione e mezzo di persone lavorano nel settore culturale in Italia con forme contrattuali assai diversificate, in cui proliferano contratti atipici, partite Iva, free lance, prestatori di opera occasionali o a giornata. Almeno 250.000 di queste persone sono letteralmente invisibili”.La pandemia – continua il segretario generale - ha fatto emergere la situazione drammatica in cui versa il settore, lasciando letteralmente senza reddito decine di migliaia di lavoratrici e lavoratori. “Ma mi preme sottolineare che la crisi contingente innescata dal contagio non fa altro che amplificare una crisi storica e strutturale. Sono anni, infatti, che si rivendicano più chiari riconoscimenti delle diverse figure professionali, tutele adeguate sul piano dei diritti.Nei giorni scorsi, in un’audizione che la Commissione cultura del Senato ci ha concesso, ho cercato di esporre questi problemi sottolineando l’urgenza di dare risposte a queste persone per garantire loro reddito, dignità, futuro. E aggiungendo che secondo noi le misure messe in atto finora dal governo sono insufficienti, sottovalutano il problema dei tanti precari che operano nel settore”. Il messaggio completo sul sito di Collettiva.it.

A Firenze il rapporto sulla criminalità, ricordando Paolo Borsellino
Presentato ieri a Firenze, con il patrocinio del Comune,  il  'Report OmCom 2020' sulla  criminalità a Firenze'. Dai rapporti pregressi e dalle ultime operazioni emerge un quadro che non va in alcun modo sottovalutato.Sono ben presenti sul territorio dell’area Metropolitana di Firenze sia gruppi riconducibili alle famiglie mafiose siciliane, calabresi e campane che gruppi criminali più o meno organizzata di nazionalità straniera in particolare albanesi, nordafricani e nigeriani-gambiani. Era domenica come oggi, il 19 luglio 1982, 28 anni fa, quando in un attentato terroristico-mafioso,  a Palermo, in via Damelio, all’altezza del civico 21, uccise il giudice Paolo Borsellino e la sua scorta. La Fondazione Caponnetto  li ha ricordati e ha reso loro omaggio presentando, con il patrocinio del Comune, il ‘Report OmCom 2020’ sulla criminalità a Firenze. La presentazione pubblica si è svolta nel giardino Caponnetto, in Lungarno del Tempio, accanto alla targa che ricorda il giudice.  In rappresentanza di Palzzo Vecchio l’assessore Alessandro Martini, e del  Consiglio Regionale il suo presidente Eugenio Giani.Sul sito del Comune di Firenze e su quello della Fondazione Caponnetto è disponibile il rapporto completo.

I sindacati rilanciano l’allarme scuola: ancora non ci sono le condizioni per riaprire
Le condizioni per cui le scuole riaprano in presenza non ci sono. Così Francesco Sinopoli, segretario generale della Flc Cgil, nel corso di una conferenza stampa unitaria ("La scuola si fa a scuola") dei sindacati della scuola per fare il punto sulla situazione in vista della ripartenza a settembre. "È inutile continuare a raccontare che le cose vanno bene, bisognerebbe essere onesti. A causa del ritardo con cui il confronto è iniziato e la scarsità delle risorse la situazione delle scuole è drammatica".I dirigenti scolastici, ha aggiunto il sindacalista, "sono a caccia di spazi; serve un organico straordinario che al momento non c'è. La preoccupazione che sta nascendo è che siccome il tempo scuola si ridurrà si tornerà alla didattica a distanza", ha aggiunto il sindacalista. "Noi sindacati vogliamo che si ritorni a scuola non vogliamo soluzioni diverse. Abbiamo bisogno di un decreto legge sulla scuola. Il governo deve dire con chiarezza che bisogna riaprire la scuola in presenza", ha concluso il sindacalista.

Ecco perché sono fallite le regolarizzazioni dei lavoratori stranieri. Parla Mininni (Flai Cgil).
“La nostra categoria ha retto molto bene nel governo e nella gestione dell’emergenza Covid-19. È un dato di fatto”. È un commento orgoglioso, quello col quale Giovanni Mininni, segretario generale della Flai Cgil, apre questa intervista su Collettiva. “A differenza di altri settori dove il lavoro è stato sospeso - spiega a Collettiva - abbiamo dovuto fronteggiare una doppia emergenza, perché i nostri lavoratori sono stati considerati essenziali sia nell'industria alimentare che nell’agricoltura. All'inizio sono stati sospesi i forestali, ma dopo un mese e mezzo sono stati riavviati al lavoro anch’essi. Dunque in tutti i comparti i lavoratori hanno proseguito l’attività. E ci siamo dovuti confrontare immediatamente con le loro paure rispetto al rischio di essere contagiati da un virus che non si conosceva. Situazione complicata dal fatto che invece altri lavoratori, per precauzione, restavano a casa. Ma bisognava ‘garantire il cibo alla nazione’, insomma i prodotti alimentari ai supermercati”.

Se sulla stagione contrattuale l’ottimismo sembra moderato, non si può dire lo stesso della regolatizzazione dei migranti, una campagna che purtroppo sta andando male. Cosa non ha funzionato? Chiede Davide Orecchio. Questa regolarizzazione – risponde Mininni - l’abbiamo voluta con tutte le nostre forze, e ci siamo spesi con l’appello lanciato assieme ad altre associazioni e personalità. Ritenevamo che fosse uno strumento utile anche a combattere e prevenire l’emergenza sanitaria nei ghetti, oltre che a fronteggiare l’illegalità del lavoro migrante in Italia. Perché la regolarizzazione si sta rivelando molto probabilmente un fallimento? La Flai è molto impegnata nei territori in questi giorni e i riscontri che abbiamo mi costringono a usare una parola forte: penso che sia un fallimento dello Stato italiano, che avrebbe dovuto dare un segnale di efficienza e non l’ha fatto. A un mese e mezzo dall’apertura dei termini (peraltro prorogati fino a metà agosto), ti sembra possibile che un decreto fondamentale del Ministero del lavoro non sia stato ancora promulgato? È una vergogna. Quel decreto dovrebbe indicare il costo che deve sostenere un datore di lavoro per sanare il pregresso. Se molte domande di regolarizzazione sono ferme nelle nostre sedi, sia della Flai che dell’Inca, e non vengono inoltrate, la ragione è perché nessun datore si avventura in una regolarizzazione senza conoscere i costi incontro ai quali dovrà andare. Sono più di due settimane che seguiamo l’iter del decreto, tra ministeri competenti e Mef. Già la regolarizzazione, inserita a quel modo nel dl Rilancio, ci ha impedito qualsiasi miglioramento attraverso gli emendamenti, che sono stati tutti tagliati. Adesso aspettiamo che la ministra Catalfo si decida, ma se il suo decreto esce troppo tardi, negli ultimi giorni, se lo può anche tenere. Se il governo farà fallire la regolarizzazione, dimostrerà di non essere all’altezza di temi così complessi, e di non avere quella determinazione che manca anche alle forze di polizia quando non fermano i furgoni dei caporali che viaggiano sulle strade del foggiano o di Rosarno.La legge sul caporalato, un’altra normativa scarsamente applicata...Per combattere caporalato e sfruttamento non serve l’intelligence ma la volontà. Per fermare quei furgoni pieni di migranti, spesso non a norma, basterebbe un vigile urbano che applicasse il codice della strada. Siamo costretti a parafrasare Brecht: la lotta al caporalato è di una semplicità che sembra impossibile a farsi con questo Stato.

Nella rubrica Buona memoria su Collettiva il ricordo dei fatti di Genova del 2001
“Hanno ammazzato Carlo, Carlo è vivo” è il titolo dell’articolo di Martina Toti. Genova. 20 luglio 2001. La città è blindata. Da giorni espressioni come zona rossa e zona gialla corrono sulla bocca degli italiani inseguite dai fantasmi dei black bloc. Inizia il G8. Il pomeriggio precedente i manifestanti hanno sfilato pacificamente. Si sono ritrovati in 50 mila e il loro primo grido è stato per i diritti degli extracomunitari. Il mondo è in fermento. L’Italia anche. Da poco più di un mese si è insediato un nuovo governo. Lo guida Silvio Berlusconi. Il ministro degli Interni è Claudio Scajola. Sarà lui a dare l’ordine di usare la mano dura contro chi crede che il sistema vada cambiato. E a crederlo sono in tanti: un movimento senza nazionalità e con tante bandiere che parla mille lingue e si definisce “no global”. Migliaia di giovani tra i venti e i trent’anni, internazionalisti nel senso più antico della parola, provenienti da tutto il mondo, che - come era avvenuto a novembre di due anni prima a Seattle - si oppongono alla globalizzazione che toglie ai poveri per arricchire sempre di più i ricchi. No global. No logo. No profit.Ci sono le donne, gli ambientalisti, gli studenti, c’è la Comunità di San Benedetto al Porto di don Andrea Gallo, c’è una rete di associazioni che si riunisce attorno al Genoa Social Forum. Ci sono le tute bianche, simbolo del precariato, e le tute blu del movimento operaio. Ci sono inglesi, francesi, spagnoli, tedeschi insieme agli italiani. Ci sono i giornalisti e ci sono le camionette. Tante. Carabinieri, poliziotti, agenti dei servizi di sicurezza. Blindati, defender e volanti presidiano la città. Attorno alle 14 scoppiano i disordini. Un tumulto che scuote le strade dalla stazione Brignole a Piazza Giusti, da Piazza Manin a Marassi. Fino a via Caffa. Fino a Piazza Alimonda.Ore 17:27. 20 luglio 2001. Piazza Alimonda. Genova. Uccidono un ragazzo. Un colpo esploso dall’interno di un defender lascia a terra Carlo Giuliani. Il corpo esile in tuta e canotta. Il passamontagna sul viso. Al momento dello sparo imbraccia un estintore. È a 4 metri di distanza dal veicolo. Eppure un altro ventenne, carabiniere di leva, pensa sia troppo vicino, mira ed esplode due colpi. Uno prende Carlo in pieno volto. I manifestanti si allontanano, il mezzo fa retromarcia. Sale sul corpo. Una volta. Due volte. Carlo muore. Quando arrivano i soccorsi non c’è più nessuno da salvare.“

La morte di mio figlio è una delle più grandi ingiustizie del nostro Paese”. Dice oggi suo padre Giuliano. Per diciannove anni ha ricordato e lottato. Insieme a sua moglie Haidi ha chiesto la verità. Ne ha ottenuto brandelli. Per i tribunali lo Stato italiano non ha colpa. Carlo è stato ucciso per legittima difesa. Ma se c’è una verità che resta è che quei ragazzi e quelle ragazze tutti, Carlo compreso, traditi dallo Stato e travolti dalle violenze, picchiati in strada, abusati in caserma e pestati alla scuola Diaz, avevano ragione. No global, no logo, no profit. Genova – canta Francesco Guccini -“non ha scordato perché è difficile dimenticare. (…) Resta, amara e indelebile, la traccia aperta di una ferita”.

Aiuta chi ci aiuta”. Prosegue la campagna di Cgil, Cisl, Uil
La sottoscrizione lanciata da Cgil, Cisl, Uil, per fronteggiare l’emergenza Coronavirus e sostenere i reparti di terapia intensiva ha raggiunto oggi la somma complessiva di 1 milione e 900 mila euro che sono già stati devoluti alla protezione civile. È quanto sottolineano in una nota i Segretari organizzativi di Cgil, Cisl, Uil, Nino Baseotto, Giorgio Graziani, Pierpaolo Bombardieri. “Siamo molto soddisfatti. È un risultato molto importante che testimonia la solidarietà concreta da parte di tanti lavoratori e pensionati italiani. Abbiamo raccolto in queste ultime settimane  900 mila euro che si aggiungono al milione di euro già versato alla Protezione Civile. Ma la nostra sottoscrizione proseguirà ancora per sostenere il lavoro di tanti medici ed operatori sanitari impegnati  nella lotta contro il Coronavirus“.I versamenti vanno fatti sul conto corrente bancario – Monte dei Paschi di Siena IBAN IT 50 I 01030 03201 000006666670 con causale: Aiuta chi ci aiuta.Agenda degli appuntamentiPer un quadro completo degli appuntamenti della Cgil nazionale e della Cgil nei vari territori vedi l’agenda sempre aggiornata di Collettiva.it: https://www.collettiva.it/agenda/