Pubblichiamo un estratto da Valerio Strinati, La Costituzione e il lavoro, supplemento a «Rassegna Sindacale», novembre 2009 (qui il PDF della guida integrale)

La Costituzione della Repubblica affronta il tema del lavoro essenzialmente nella prima parte (princìpi generali: artt. 1, 2, 3 e 4) e nel titolo III (rapporti economici, artt. 35-40 e 46), oltre a contenere alcuni riferimenti distribuiti in altri articoli. Il fatto che questo argomento sia stato affrontato con notevole ampiezza nell’atto di nascita del nuovo Stato costituisce di certo un evento di grande rilievo, ma l’elemento di vera e profonda novità è costituito dalla solenne dichiarazione di apertura della Carta costituzionale (art. 1, 1° comma), che pone il lavoro alla base dell’ordinamento democratico, quale fondamento di esso. Da questo punto di partenza, e in stretta connessione con esso, si dipanano poi diversi corollari, in forza dei quali il lavoro, segnatamente nel titolo III, viene considerato più specificamente nella sua funzione economica e sociale come destinatario di una tutela particolare proprio in ragione del ruolo centrale che gli è riconosciuto nella vita associata e, di conseguenza, nel quadro istituzionale, “quale forza propulsiva e dirigente in una società che tende ad essere di liberi e di eguali” (così M. Ruini, nella relazione al Progetto di Costituzione, 1947).

Conferendo centralità al lavoro e ai suoi istituti, la Costituzione repubblicana si inquadra inoltre coerentemente nella linea evolutiva del costituzionalismo democratico novecentesco, che, differenziandosi profondamente dalle carte liberali del XIX secolo, non si è limitato a delineare la fisionomia degli organi di vertice dello Stato, e a regolare i loro reciproci rapporti e i rapporti con i cittadini, ma ha definito i punti fermi di una cittadinanza che estende i confini dei diritti e dei doveri dalla sfera civile e politica a quella sociale, mediante il riconoscimento e la regolazione dei diritti che i cittadini possono vantare nei confronti delle istituzioni pubbliche riguardo a materie quali l’occupazione, l’istruzione, la salute e la sicurezza sociale.

La finalità è la tutela e lo sviluppo della persona umana, in contrapposizione ai regimi fascisti

La costituzionalizzazione dei diritti sociali, che ha rappresentato una grande conquista per lo sviluppo democratico della vita pubblica in Italia e in Europa, non è nata dal nulla. Affonda le sue radici in un processo storico più che secolare, che ha visto come protagonista il movimento del proletariato industriale e agricolo, impegnato in una battaglia di emancipazione che solo dopo la fine della Seconda guerra mondiale ha portato, non senza forti opposizioni, a uno stabile riconoscimento dei diritti del lavoro e della sua centralità sociale e politica. Per tutte queste ragioni, non si può sottovalutare la straordinaria portata innovativa dell’art. 1: fondare sul lavoro la Repubblica democratica fu, infatti, una scelta dirompente, di chiara discontinuità non soltanto con il regime fascista, ma anche rispetto al precedente ordinamento liberale che, sia pure tra forti conflitti sociali, era rimasto saldamente ancorato al primato dell’iniziativa economica privata, del diritto di proprietà e della posizione di supremazia sociale da esso derivante, quando non della differenziazione di casta e dei privilegi della nascita.

Per comprendere il salto di qualità realizzato in Italia con la Costituzione sarà sufficiente ricordare che il termine “lavoro” con il quale essa esordisce non compare invece mai nello Statuto del 1848. Con l’art. 1 sono dunque enunciati due princìpi fondamentali dell’ordinamento: quello democratico (l’Italia è una Repubblica democratica...) e quello lavorista (...fondata sul lavoro) che, congiuntamente al principio egualitario e al principio personalista, di cui si dirà più avanti, costituiscono la trama connettiva delle diverse norme della Costituzione (non solo di quelle sul lavoro). Sono proprio questi princìpi a conferire alle norme costituzionali reciproca coerenza (Bonifacio, 1968), a segnare i limiti posti all’attività di revisione della Costituzione stessa, a consentirne una interpretazione evolutiva, tale, cioè, da assicurare l’adeguamento di princìpi e regole enunciati più di sessanta anni or sono all’evoluzione della realtà culturale, sociale, politica ed economica del paese.

Nei princìpi fondamentali, inoltre, si compendiano gli indirizzi di fondo sui quali si realizzò la convergenza delle culture politiche liberaldemocratica, cattolica e marxista, rispetto all’obiettivo di dare vita a un sistema democratico con un avanzato contenuto sociale. Ognuna di queste culture ha apportato un contributo fondamentale alla messa a punto della Costituzione, ma nessuna può vantarne la paternità esclusiva: basta scorrere gli atti dell’Assemblea Costituente per constatare come ogni singola disposizione rechi l’impronta di un confronto e di una contaminazione particolarmente fecondi, che hanno sedimentato una riserva di princìpi e valori alla quale si può ancora, e largamente, attingere.