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Il sociale merita investimenti, agevolazioni, riconoscimenti. E invece a quanto sembra questo governo non intende investire, agevolare, riconoscere. L’allarme è scattato sugli stanziamenti del piano triennale per il terzo settore previsti dalla legge: la programmazione 2025-2027 prevede risorse inferiori di 34 milioni di euro rispetto ai finanziamenti del precedente triennio. Non esattamente bruscolini.
Tagli sì, tagli no
Il cosiddetto atto di indirizzo del governo ha ottenuto il benestare della conferenza Stato-Regioni il 30 luglio scorso ed è stato reso disponibile con decreto dal Ministero il 4 settembre. “Noi abbiamo lanciato l’allarme – spiega Vanessa Pallucchi, portavoce del Forum del terzo settore - il ministero del Lavoro e delle politiche sociali ci ha già risposto con rassicurazioni, spiegando che è stato messo in atto un meccanismo di compensazione in base al quale i tagli non ci sarebbero. Ma al di là di questa questione, che noi monitoriamo, la coperta è troppo corta”.
Le spiegazioni messe in campo dal Ministero sono fatte di segni più e meno per addetti ai lavori: in sostanza la spending review per il triennio sarebbe di 14 milioni, di cui 10 verrebbero recuperati da un’altra parte, ovvero dal fondo 2025 per le attività di interesse generale. La linea di finanziamento in questione è molto importante, perché è quella da cui i soggetti attingono per progetti legati alla loro natura.
Investire di più
“Le richieste che noi facciamo rimangono in piedi, e cioè investire di più nel terzo settore, che ha un ruolo straordinario e riconosciuto nel nostro Paese – prosegue Pallucchi -. Un valore dato dalle finalità e dalle attività svolte dalle organizzazioni, un valore sociale, di coesione, di aggregazione, che andrebbe maggiormente incentivato quanto meno con gli stessi sostegni dati ad altri soggetti”.
Un esempio su tutti: alla piccola e media impresa vengono dati finanziamenti a fondo perduto, mentre agli enti del terzo settore le risorse sono cofinanziate. In pratica, l’80 per cento lo mette il Ministero, ma il restante 20 per cento deve essere in grado di metterlo l’ente. Un’evidente disparità di trattamento.
La crescita dei costi
“In questi anni non c’è stato un incremento dei finanziamenti, mentre i costi, tutti, sono cresciuti: per realizzare un progetto o un’attività, le spese che si devono sostenere sono maggiorate - spiega la portavoce -. Inoltre, i soggetti sono aumentati con una platea più ampia, ma le risorse sono le stesse. In definitiva questo fondo è del tutto parziale rispetto ai bisogni ed è l’unico che va a finanziare la crescita degli enti”.
Esistono infatti anche altre fonti di sostegno, ma sono indirizzate ai progetti: “Se faccio un progetto di alfabetizzazione informatica rivolto agli anziani – precisa Pallucchi -, le risorse pubbliche su cui posso contare servono per realizzare l’azione, per l’utenza che se ne beneficia, rispondendo così a un interesse generale, non per l’associazione”.
Stesso sostegno delle imprese
Gli enti del terzo settore reclamano quindi lo stesso sostegno che viene dato alle imprese, anche perché a differenza delle aziende che hanno come obiettivo il profitto, producono valore per tutti, lavoro, presidio del territorio, nell’interesse comune. Lo stesso discorso vale per l’accesso al credito: le imprese hanno un fondo di garanzia, gli enti questa opportunità non ce l’hanno.
Il 5 per mille
Poi c’è la questione del 5 per mille, una quota dell'imposta Irpef che lo Stato ripartisce tra gli enti che svolgono attività socialmente rilevanti, il cui versamento è a discrezione del cittadino-contribuente, istituito nel 2006.
Negli ultimi anni è stato messo un tetto massimo che dal 2020 è stato progressivamente aumentato e dal 2022 fissato a 525 milioni. Nell’ultimo anno (2024 sui redditi del 2023) i contribuenti hanno destinato 603,9 milioni di euro, ma agli enti beneficiari scelti dai cittadini arriveranno solo 525 milioni, 79 in meno. L’anno prima lo sforamento è stato di 27 milioni. La richiesta del Forum è quindi di togliere il tetto massimo e dare agli enti tutte le risorse decise dai cittadini.
Le questioni fiscali
Infine due questioni fiscali: l’Iva e l’Irap. La proroga al primo gennaio 2026 dell’esenzione Iva per gli enti associativi, per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi, che quando scadrà dovrà essere applicata. “Abbiamo chiesto che non sia applicata: le nostre organizzazioni non fanno attività commerciali – dice Pallucchi -. Pensiamo alla mescita offerta ai soci dai circoli Arci, che sono punti di riferimento nei territori, presenti nelle periferie e nei piccoli comuni, costruiscono coesione sociale e non fanno attività commerciale”.
E poi l’Irap che è stata tolta alla maggior parte delle imprese ma rimane viva per i soggetti del terzo settore, che sono economicamente più fragili. “Non ricadiamo mai nei benefici che sono invece previsti per le realtà profit – conclude la portavoce del Forum -. Le tasse vanno pagate e noi vogliamo la giusta fiscalità, ma il paradosso è che vengono tolte a chi fa profitto e lasciate a chi invece lavora per la collettività”.