Sono duemila operatori e operatrici sanitari, medici infermieri, ostetriche, operatori socio sanitari, amministrativi, sono uomini e donne il cui destino è appeso davvero a un filo, il loro contratto con la sanità pubblica del Lazio scade il prossimo 31 dicembre ma ad oggi la Regione non scioglie la riserva alla loro assunzione in via definitiva. Eppure non solo c’è in ballo il destino di lavoratori e lavoratrici e già questo sarebbe sufficiente. Ma in gioco c’è anche la possibilità dei cittadini e delle cittadine di ottenere i servizi necessari alla loro salute. Ed è bene ricordare che la sanità laziale è assai sotto organico, anche con la presenza di questi duemila operatrici e operatori non riesce a garantire i servizi necessari e dovuti.

Fumata nera

Il 19 dicembre, su richiesta delle organizzazioni sindacali, c’è stato un incontro in Regione, la richiesta delle categorie dei lavoratori pubblici di Cgil Cisl e Uil era netta e semplice: rinnovare per 6 mesi i contratti a tempo determinato per avere il margine di organizzare secondo le necessità delle diverse strutture, l’assunzione definitiva del personale. La Regione ha detto no, sostenendo che una parte del personale, ricordiamo la gran parte dei 2000 è stata assunta durante l’emergenza pandemica, sarebbe in esubero.

Mentono sapendo di mentire

“Ma quale esubero – afferma Giancarlo Cenciarelli segretario generale della Fp Cgil di Roma e Lazio – secondo Agenas la Regione Lazio, nel 2022, è sotto il tetto di spesa per il personale di quasi 400 milioni equivale a circa 7000 unità di personale, se va bene nel 2023 ne sono stati assunti 500 quindi i margini economici per le assunzioni ci sono eccome”. Non solo, il Servizio Sanitario regionale è in carenza storica di personale tanto è vero che la Regione continua a “comprare” posti letto nel privato invece che riaprire reparti negli ospedali pubblici chiusi recentemente.

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Privatizzazione della sanità laziale

È questa la preoccupazione del dirigente sindacale, basta un esempio su tutti. Con la scusa dell’incendio all’Ospedale di Tivoli si sono comprati circa 170 posti letto nel privato. Peccato che l’Ospedale di Tivoli ha come bacino di utenza la Valle dell’Aniene lungo la Tiburtina nella zona nord est della capitale e i posti letto privati si siano comprati nella provincia di Latina e dagli Angelucci a Velletri lungo l’Appia. “La scelta di Rocca è chiara, aggiunge il segretario della Fp Cgil, privatizzazione della sanità. A marzo – aggiunge – si sono spesi 24 milioni di euro per 400 posti letto in strutture convenzionate invece che riaprire reparti in ospedali pubblici chiusi magari proprio per mancanza di personale”.

Licenziare o riorganizzare?

Se la “scusa” per non stabilizzare il personale sanitario è che in alcuni ospedali, un certo numero di loro è in esubero, basterebbe – dicono i sindacati – spostarli in altre strutture che, invece, registrano carenze di personale. Anche a questa proposta la Regione ha detto no. “Per noi la priorità è la stabilizzazione del personale, non la collocazione nelle strutture dove oggi operano. Nonostante questo abbiamo dovuto registrare una chiusura totale”, spiega ancora Cenciarelli, che non può che registrare che da un lato si chiudono reparti nel pubblico dall’altro si aggiungono letti nel privato. Non solo, i dati sul numero dei posti letto disponibili nelle strutture pubbliche, a detta dello stesso direttore della Direzione Sanità della Regione, fornito dall’Agenas non corrisponde alla realtà perché in diversi ospedali – a causa di carenze strutturali o di personale – i posti realmente disponibili sono meno.

Un gioco dell’oca

Si continua a tornare alla casella di partenza: non si stabilizza il personale perché nelle strutture dove attualmente sono impiegati alcuni si dice siano di troppo, in altre strutture si chiudono reparti e ambulatori per carenza di personale, la riabilitazione è quasi tutta in capo al privato e la sanità di territorio è quasi inesistente. Mentre le liste di attesa non solo non si riducono, ma si gonfiano e troppo spesso cittadini e cittadine sono costretti a metter mano al portafogli o a non curarsi.

Chi paga il conto

“Innanzitutto – afferma Cenciarelli – i professionisti della sanità. I precari che dal 1 gennaio prossimo rischiano di non aver più lavoro, quelli in servizio su cui si scarica un carico di lavoro quasi insostenibile. E poi i cittadini e le cittadini che non ricevono i servizi di cui avrebbero bisogno. E il governo regionale latita. “Per noi è inaccettabile, non solo perché è nostro compito tutelare lavoratori e lavoratrici, ma anche perché il diritto alla salute deve essere esigibile e l’unico modo per renderlo tale è salvare e potenziare il servizio sanitario pubblico e universale”. Che fare? È semplice, a spiegare è ancora il segretario della Fp: “Ci siamo dati nuovamente appuntamento per il 28 dicembre, il direttore generale dovrebbe portarci i numeri del fabbisogno di personale regionale per procedere ad una riorganizzazione dei servizi. Qualora non avremo le risposte che ci aspettiamo non ci rimarrà altro che passare il capodanno in presidio davanti alla sede della Regione”.