Da qualche giorno l’arancione spicca nel triangolo che definisce la Regione, racconta dell’aumento dei contagi e dello stress, non chiamiamola sofferenza, del servizio sanitario. Certo qui le case della salute esistono e le Usca le hanno “inventate”. Ma il virus corre e il sistema rincorre.

Il dato comune a tutto il resto del Paese è la carenza di personale. Insomma la pandemia ha squadernato dinnanzi a tutti noi come la scellerata strategia dei tagli, del blocco del tour-over, sommato ad una politica universitaria senza capacità di previsione e di sguardo sul futuro, il tutto all’insegna solo delle compatibilità economiche, abbiano creato il disastro. Disastro che era già cominciato ben prima che il coronavirus si affacciasse entro i confini nazionali. Gli ordini dei pediatri, degli anestesisti, dei ginecologi e dei medici di medicina generale sono almeno tre anni che denunciano l’insufficienza delle borse di specializzazione rispetto alle necessità del sistema e il Covid è arrivato che il sistema sanitario regionale sistema era già sotto organico e di molto. Anche in Emilia Romagna.

Dall’inizio della pandemia in Regione un po’ di assunzioni sono tate fatte: 803 medici, 2787 infermieri, 1163 operatori sanitari e, alcuni con contratto a tempo indeterminato, molti a tempo determinato e anche, in quest’ultimo periodo, in somministrazione attraverso le agenzie interinali. “Abbiamo dovuto acconsentire anche ad utilizzare la somministrazione, afferma il segretario generale della Fp regionale Marco Blanzieri, perché è uno strumento rapido che consente assunzioni quasi in tempo reale. Ma abbiamo chiesto alla nostra Regione di farsi promotrice nella conferenza Stato-Regioni di chiedere al governo una legge che riconosca anche il periodo di lavoro in somministrazione come anzianità per accedere alla stabilizzazione”. Tra il 2019 e il 2020 in questo territorio si sono stabilizzate più di mille persone, tutte quelle che ne avevano diritto. Il punto oggi è garantire lo stesso percorso ai nuovi precari, quelli che stanno consentendo al sistema di non andare in tilt.

Nonostante questi numeri il personale comunque non basta, e non si trova. È stato fatto un accordo con l’università, la sessione di laurea in scienze infermieristiche prevista per gennaio è stata anticipata a fine novembre, sono già partite le pre-assunzioni dei laureandi. Ma il capitolo personale non si chiude qui. Secondo il dirigente della Fp la fatica e lo stress si fanno davvero sentire, medici e infermieri soffrono moltissimo soprattutto i fenomeni di negazionismo. Ascoltare chi sostiene che il Covid sia un’invenzione mentre saltano turni e ferie e si vive sulla propria pelle l’angoscia di chi è a corto d’aria e fa fatica a respirare è davvero dura.

Leonardo Anselmi è un medico, ha 26 anni, da poco laureato, vorrebbe diventare neurochirurgo e attende l’esito del concorso per entrare nella scuola di specializzazione. Le graduatorie non vengono pubblicate per un pasticcio tra gli estensori del bando, che troppo bene non l’hanno scritto e alcuno aspiranti borsisti che hanno fatto ricorso. Leonardo ha deciso di non attendere rimanendo sul divano. Lo scorso marzo è sceso in campo nella sua Piacenza ed è stato tra quelli che hanno dato vita alle Usca. “Allora eravamo tre squadre al mattino e 3 al pomeriggio, oggi siamo 11, un medico e un infermiere a squadra. All’inizio ero stato affiancato ad un medico esperto che mi ha insegnato tutto”. Strategico è il rapporto tra medici di medicina generale che segnalano alla centrale operativa non solo la positività dei pazienti ma anche la loro storia clinica, e le unità speciali di continuità assistenziali che vengono poi inviate a casa delle persone. Visita, controllo dei parametri, ecografia polmonare e poi si decide se attivare il ricovero ospedaliero e continuare a seguire al domicilio il paziente. Il tutto registrato in una cartella clinica virtuale a disposizione dei sanitari che seguiranno in seguito l’ammalato. “Io in questi mesi ho imparato a fare il medico ed ho imparato ad avere rapporti con le persone – conclude il dottor Anselmi – sarebbe bello se questa attività a domicilio funzionasse anche quando il Covid non ci sarà più per tutte quelle persone che fanno fatica ad uscire di casa, che sono più fragili ed hanno bisogno di assistenza”.

A raccontare della difficoltà della situazione non sono solo i numeri, che pure dicono tanto: ad oggi i positivi sono 55.429 e quelli in più rispetto a ieri sono 2.549, le terapie intensive sono occupate al 33% e i posti Covid ordinari sono pieni al 52%, ma anche il fatto che anche qui il tracciamento non è proprio saltato ma quasi.

“La preoccupazione, dice ancora Blanzieri accompagnandoci nel viaggio nel suo territorio, è grande perché vediamo aumentare la pressione sugli ospedali. Stiamo allestendo posti di terapia intensiva nelle sale operatorie il che significa che via via si riduce l’attività sulle patologie non Covid. Ma il diritto alla salute dovrebbe valere anche per chi non è contagiato”. Il rapporto con la Regione è positivo, è stato istituito un tavolo di confronto che funziona e tutte le risorse stanziate dai decreti che si sono succeduti da marzo in poi sono state utilizzate. “Occorre pero, chiosa il dirigente sindacale, che ne venga rese disponibili altre per il 2021”. Anche qui l’emergenza nell’emergenza è il sistema socio assistenziale e i focolai nelle Rsa, più colpite sono le province di Ferrara, Ravenna e Rimini, e come in Toscana il sistema pubblica ha preso in carico le strutture inviando proprio personale sia per supportare quello che c’è, sia per sostituire chi è stato contagiato. E sono tanti, dati aggiornati ad oggi non ce ne sono, ma fino allo scorso 30 settembre gli operatori sanitari positivi al Covid, nel pubblico e nel privato, erano 3722, oltre il 70% donne.

La prevenzione, diceva il professor Garattini intervenendo a "Futura 2020", deve diventare prioritaria, paradossalmente dovrebbe essere considerata più importante o quasi della cura. Concorda con il fondatore dell’istituto Mieli il dottor Giorgio Chiaranda: svolge la sua attività all’unità operativa di epidemiologia, prevenzione e promozione della salute e racconta di come da febbraio scorso l’attività del suo servizio è stata completamente riconvertita per inseguire il virus, si occupa di raccogliere i dati del tracciamento e di trasmetterli in regione. “Da noi tiene ancora, abbiamo avuto un momento di difficoltà a metà ottobre quando c’è stata l’impennata dei casi, ma siamo riusciti a compiere un piccolo miracolo grazie all’esperienza fatta nella scorsa primavera – dice -. Sono state assunte decine di persone con contratti di tipo libero professionale e siamo riusciti a metterci rapidamente in pari. Oggi ce la facciamo, ma la vera criticità riguarda il personale storico, nel corso degli anni i dipartimenti di sanità pubblica, non solo da noi ma su tutto il territorio nazionale, sono stati enormemente depotenziati. Riuscivamo a star dietro con difficoltà alle cose da fare anche prima del coronavirus”.

La prevenzione, dicevamo, queste strutture dovrebbero servire proprio a questo: garantire salute e qualità della salute ben prima dell’insorgenza delle malattie. Dice ancora il dottor Chiaranda: “Questi mesi di tanto lavoro e di confronto con tanta sofferenza mi consegnano una riflessione. Certamente è necessario potenziare la sanità di territorio e delle cure primarie, ma occorre ricostruire i servizi di sanità pubblica. La prevenzione, conclude, costa relativamente poco ma può dare risultati importanti in termini di salute per tutte le classi sociali. Se garantiamo la qualità dell’aria e dell’acqua, se promuoviamo l’attività fisica e una corretta alimentazione stanno meglio tutti, soprattutto le persone con meno disponibilità economiche ne avranno vantaggio in termini di salute. La pandemia, anche dal punto di vista della salute ha approfondito le diseguaglianze. La sanità pubblica dovrebbe contribuire a correggere tutto questo”.