... È il 5 novembre, è il giorno di Obama. Quello scelto dalla Cgil – con fortunata coincidenza – per presentare al paese le proprie proposte per uscire dalla crisi. Il 27 settembre c’erano state le cento piazze della Cgil, oggi la “piazza” è una, ma il dialogo con quelle piazze, con la “gente” è costante, continuo.


GUARDA IL VIDEO

Dal palco, anche plasticamente. I segretari confederali sono mescolati agli studenti e ai lavoratori, la gente “normale” che prende la parola e ci racconta il senso di questa giornata, del proprio essere sindacalisti e lavoratori in un momento così difficile: studenti, donne, migranti, diversamente abili, cassintegrati. Tutti che parlano di sé ma che, parlando di sé, parlano di tutti: tanti pezzi di un paese in crisi, in sofferenza. Una somma che fa il totale, si direbbe. Chi scrive, prima di arrivare, ha incontrato due ragazzi in metropolitana. Non andavano al Palalottomatica, ma uno dei due diceva all’altro: “Noi italiani non serviamo più. Per la tecnologia ci sono i giapponesi, per il lavoro i cinesi, per l’informatica gli indiani”. Parole semplici, anzi semplicistiche, ma quanto assonanti con molte delle idee espresse durante l’assemblea dei delegati e quadri della Cgil.

Le voci. Vicino al palco c’è uno schermo. Prima dell’inizio dell’assemblea, prima che il direttore di Rassegna Sindacale, Paolo Serventi Longhi, annunci il primo intervento, scorrono immagini di lavoratori, di ieri e di oggi: le facce, straordinariamente, sempre assai simili. Sullo sfondo una colonna sonora musicale. Mentre partono le note di “Sono un eroe” di un giovane cantautore, Caparezza, che parla di precari e sfruttati lo schermo riporta immagini di “antichi” lavoratori edili in lotta contro il cottimo nei cantieri: eroi anche loro. Eroi per caso, perché tali sono le persone che incrociano nelle loro vite le ferite di un’epoca, ieri il cottimo, oggi le ristrutturazioni, i tagli a scuole e università.Proprio dalla scuola – e non poteva essere altrimenti – arriva il primo intervento. L’oratore si chiama Luca De Zolt, è giovane, è il leader di Red, la Rete degli studenti medi che in questi giorni ha contribuito a riempire le piazze del paese: altre cento piazze, almeno. Parla davanti a 10.000 delegati della Cgil giunti da tutta Italia e non si intimidisce, neanche quando afferma con forza che il movimento, l’onda, è lontano da partiti e sindacati perché vuole “difendersi dalle strumentalizzazioni”.

E tuttavia è proprio in questa perimetrazione delle identità che in una situazione di emergenza come quella odierna è possibile trovare dei punti di contatto con le lotte e le piattaforme della Cgil: “La centralità da dare alla scuola e all’innovazione ci fa dire che gli interventi pubblici, anche in un momento di crisi come quello odierno, non devono essere a pioggia, ma premiare la qualità, la scommessa verso il futuro”. E arrivano tanti applausi, soprattutto dagli spalti di fronte dove i lavoratori di una multinazionale americana di Massa, la Eaton, stanno per essere licenziati ed espongono uno striscione emblematico, dove c’è scritto “Usa e getta” (e nel giorno di Obama non è male). De Zolt spiega, a correzione della tiritera che si legge ogni giorno sui giornali, che il movimento non è affatto apolitico, ma punta “a impossessarsi della politica” per cambiare le cose.Poi ci sono le altre voci, tante, più o meno emozionate. Quella di Pina Magni, che fa la ricercatrice alla SigmaTau e ti spiega che in azienda non si fa più formazione (perché tanto “devi fare sempre lo stesso prodotto. Quindi, a che serve?”) e che dall’Italia le aziende farmaceutiche se ne vanno perché non ha più condizioni per fare ricerca e industria. O di Beatrice Laura Cimini, commessa alla Zara Italia con meno di trent’anni, che parla di “confusione” tra i lavoratori, di risposte che “non arrivano” e che se la prende anche con Cisl e Uil (nel commercio è stato siglato un contratto separato): “Dove sono? Cosa fanno? Come sperano di marcare la propria autonomia se poi nella realtà disconoscono piattaforme e accordi discussi e approvati dai lavoratori”. Cimini chiede a tutti i lavoratori, di tutte le età e di tutte le categorie, di partecipare, allo sciopero generale del commercio per il 15 novembre. E poi, ancora, Alessio Focardi, dell’associazione paraplegici, con un intervento toccante, ma non disperato, sulla macelleria sociale del governo e Mimma Sellano della Novatek, azienda tessile lombarda che ci annuncia che a Lecco, non era mai successo prima, ha fatto la sua comparsa niente meno che la disoccupazione maschile. E ancora altre voci di cui sarebbe troppo lungo render conto.

La voce di Epifani. Fino alla voce del segretario generale della Cgil. Che ha ricondotto a unità i pezzi dispersi, ma compresi in un’unica condizione generale, dei lavoratori che hanno parlato e di quelli solo presenti. Epifani ha presentato il piano anti crisi della Cgil, un piano in sei punti di cui troverete descrizione in altre parti di questo sito. Un piano che è nella tradizione del sindacalismo confederale, quello che si fa portatore degli interessi generali da sempre, al meno dai tempi di quel Piano del lavoro che Di Vittorio lanciò nel ’59 e che tra pochi mesi compirà sessant'anni. Epifani ha scandito parole dure contro il governo e non tenere – ma improntate comunque alla ricerca di una difficile unità a partire dai luoghi di lavoro e dalle richieste della gente – a Cisl e Uil: “La gente non capisce, ci chiede di essere uniti”. Poi ha annunciato un percorso che dovrebbe portare, dopo il passaggio al comitato direttivo, a una mobilitazione generale. Prima, però, aveva ampiamente raccolto un’altra voce, stavolta molto più lontana: quella di Barak Obama, nero, quarantaquattresimo presidente degli Stati Uniti. Obama ha detto tante volte, grida Epifani, che non c’è progresso economico che non sia fondato sull’onore e la dignità del lavoro. Obama ha detto che vuole la sanità per tutti e che bisogna redistribuire risorse verso chi ne ha meno. Obama, stanotte, a Chicago ha anche detto che vuole costruire più scuole, e migliori, per il suo paese. Ecco – ha detto il leader della Cgil – se vedo quello che sta succedendo in questi giorni all’interno del governo proprio su scuola e università, ai distinguo che trapelano, mi convinco sempre più che le lotte giuste pagano.