La "settimana della lotta" dei lavoratori Sirti ha fatto tappa martedì 12 marzo a Roma, davanti al ministero dello Sviluppo economico, dove si è tenuto l’incontro tra governo, sindacati e azienda. I dipendenti provenivano da Firenze, Ancona, Napoli, Roma e altre sedi sparse sul territorio nazionale. Abbiamo parlato con alcuni di loro.

Alessandro Menichelli, Roma
Il nostro è un comparto importante e in costante evoluzione, stiamo lavorando anche su open fiber, la nuova tecnologia in fibra ottica. Nonostante questo Sirti apre una procedura di licenziamento per 833 dipendenti, senza cercare prima un confronto con il sindacato. Ci siamo raccolti al ministero dello Sviluppo economico perché sia chiara la gravità della situazione e per avviare un confronto con l’azienda su come salvaguardare i posti dichiarati in esubero, con gli ammortizzatori sociali o attraverso un'eventuale ricollocazione all’interno dell’azienda. Siamo molto preoccupati, l’età media dei colleghi è tra i 45 e i 50 anni, e in un settore che si sta evolvendo in modo rapido come il nostro è ancora più difficile ricollocarli. Siamo però anche convinti che confrontandoci con l’azienda, senza arrivare allo scontro, si potrebbe raggiungere un risultato che non scontenti tutti: siamo aperti al dialogo, speriamo che le istituzioni ci aiutino a portarlo avanti.

 

Antonio Delli Paoli, Casandrino (Napoli)
Sono circa 12 anni che lavoro per quest’azienda. Per noi del Sud la situazione che è venuta a crearsi è ancora più preoccupante, perché una volta usciti dal circuito del lavoro se ne resta fuori per sempre. Poi per chi, come me, vorrebbe metter su famiglia, la prospettiva di un licenziamento è davvero terribile. È paradossale che l’azienda occupi per circa il 70 per cento dei volumi personale in subappalto, colleghi che non hanno né inquadramento né salario adeguati e che sono costretti ad accettare le condizioni che gli vengono imposte. È la classica guerra tra poveri.

 

Giuseppe Felice, Sala Consilina (Salerno)
È stato un fulmine a ciel sereno. Ci siamo trovati a fare una fine che non meritiamo, che va a colpire la nostra professione e la nostra dignità personale. Abbiamo sempre lavorato – sia nella manutenzione sia negli altri reparti – prodigandoci per la nostra società, perché ci dà il pane ovviamente, ma anche perché siamo orgogliosi della nostra professione. Sono 35 anni che lavoro in Sirti, ho sempre fatto del mio meglio e perdere il posto così, su due piedi, non è giusto, abbiamo tutti le famiglie cui pensare. Io ho 60 anni e vorrei che almeno mi accompagnassero alla pensione, per quello che manca.

 

Gennaro Formosa, Firenze
Sirti è un’azienda che esiste da quasi 100 anni, un fiore all’occhiello per l’Italia. Ma ha deciso di disperdere la professionalità dei suoi addetti preferendo affidare il lavoro a un massiccio regime di subappalto su tutti i territori. Se le telecomunicazioni sono prioritarie, come sostiene il governo, dovrebbe essere posto un limite alle gare al massimo ribasso, che in questo settore non funzionano. Questa discussione non riguarda soltanto le telecomunicazioni che lavorano nel sistema, come Sirti, ma anche le aziende che ci danno questi lavori (Tim, Wind, Vodafone e tutti gli altri operatori del settore): il 5G non si crea con scarsa esperienza, si crea con la professionalità, e qualità e sicurezza vanno pagate. Sappiamo cosa vuole fare l’azienda, diventare una società di gestione a livello nazionale, vale a dire prendere lavori e distribuirli in subappalto: da 12 mila che eravamo siamo rimasti 3.600 e sappiamo che intendono arrivare a 2 mila, sacrificando sia i lavoratori sia la qualità del lavoro.

 

Pietro Moscatelli, Ancona
Lavoro in Sirti dal 1989, sono un collaudatore apparati. Vivo da anni in questa condizione di precariato, che in passato è stata gestita con gli ammortizzatori, ma adesso ci troviamo con tutto questo lavoro in subappalto, tanto e non esattamente quantificabile, perché siamo sparsi in tutto il territorio nazionale e in parte anche all’estero. La scusa dell’azienda è che noi costiamo troppo. Quella di Ancona è una piccola unità: su 48 dipendenti sono previsti cinque esuberi. Continuiamo a lavorare, senza sapere se tra 50 giorni sarà tutto finito. Non sappiamo a chi toccherà, ma che tocchi a me o a un mio collega è la stessa cosa. Ho 59 anni e come altri colleghi sono quasi vicino alla pensione, ma non abbastanza, e non vorrei perdere troppo andando via prima, dopo 30 anni di lavoro. Andare via, sì, va bene, ma in modo dignitoso.

 

Tiziana Capone, Napoli
Sono impiegata, l’ultima di una serie di mansioni cambiate negli anni nei vari momenti di crisi: cassa integrazione, contratto di solidarietà, ed eccoci ancora qui. Ci fa più paura adesso questa situazione, perché non ci aspettavamo un numero così alto di esuberi, anche perché l’azienda non va male, ma c’è molto lavoro in subappalto e poco per noi. Dovrebbero lavorare prima i dipendenti e poi i lavoratori esterni. Il lavoro cambia continuamente, ci sono nuove tecnologie, nuove applicazioni, ma l’azienda dovrebbe formare e non cacciare i suoi lavoratori. Non può buttarli via, perché loro fino ad ora hanno dato tutto quello che potevano dare, vogliono continuare a lavorare e devono lavorare: formate queste persone e andiamo avanti insieme. Ci sono tanti colleghi che non hanno ancora l’età per andare via e altri che non hanno l’età per rimanere a casa. Io, se vado a casa oggi, a 47 anni, con una figlia a carico, non so che altro lavoro potrei fare. A Napoli gli esuberi sono 120, su circa 300. Sono tantissimi.

 

Cristina D’Agostino, Rsu Tim
Insieme ad altri compagni sono venuta a portare la nostra solidarietà al presidio della Sirti. Solidarietà non semplicemente come vicinanza nei confronti di colleghi che si trovano in una condizione peggiore della nostra, ma come un passo nella direzione giusta, creare cioè una mobilitazione a livello di settore. La Tim dà gli appalti a una serie di aziende, tra cui la Sirti, e sotto ancora ci sono i subappalti e i sub-subappalti: una catena che somiglia a una coperta corta, in cui ci si scopre a vicenda, e che danneggia tutti, perché la diminuzione di lavoro e diritti degli ultimi segmenti si ripercuote anche sul lavoro e sui diritti dei primi, che non potranno mantenere a lungo le proprie condizioni se intorno a loro si è fatta terra bruciata. Dovremmo vedere l’insieme dei lavoratori come un corpo unico: toccato questo corpo in una sua parte viene toccato tutto, e le condizioni peggiorano per tutti. I lavoratori di aziende diverse dovrebbero agire in unità, almeno a livello di settore, in controtendenza rispetto al sentire comune, a quel mors tua, vita mea. Per le aziende è così, ma per i lavoratori no, mors tua è mors mea, perché prima o poi la crisi arriva anche a casa mia: per respingerla dobbiamo lavorare insieme, allargare questa coperta lottando insieme per la difesa dei posti di lavoro.